Chi sono gli amici

Sono quelli che nell’infanzia, pur essendo bambini,
ti fanno i dispetti, litigano, ma ti aiutano e ti stanno vicini.
Arriva la scuola che non insegna solo nozioni,
ma che l’orizzonte devi allargare per varie ragioni.
Nascere ignoranti è un fattore normale, è la natura,
restare ignoranti è una colpa, e ti rende precaria la vita futura.
Diventi amico di nuovi compagni e questo lo sai,
ma anche della tua maestra, che mai scorderai.
Quando ti castigava la trovavi indisponente,
ora la ringrazi di averti aperto la mente.
Non solo la scuola ma oratorio e chiesa,
e qui ti trovi una bella sorpresa.
Trovi un amico in abito talare,
che non ha una sua famiglia, ma è li per insegnare.
Insegnare che gli amici terreni sono importanti,
e ne abbiamo uno in cielo che supera tutti quanti.
La sua amicizia te la dimostra sotto voce,
dicendo:”Per te sono morto sulla croce”.
L’adolescenza nostra, siamo sinceri,
ci ha fatto scoprire gli amici più veri.
Quelli che il destino ha fatto migrare lontano,
e se ne hai avuto bisogno ti hanno una mano.
Fino all’arrivo nel momento della vita,
quando ti arriva un’amica, la più gradita.
Non solo un’amica, te lo dice il cuore
è il tuo avvenire, è il tuo amore.
L’amore che porta i suoi frutti,
ti porta l’amico più caro di tutti.
Lei te lo offre come un candido giglio,
più di un amico: è nostro figlio.
Tra gli amici che non posso scordare,
uno l’ho trovato in divisa militare.
Era generoso e altruista, ora è in cielo,
di lui mi è rimasto un ricordo sincero e bello.
E’ doveroso e sono immensamente grato,
ricordare i due amici che la vita mi hanno dato.
Avete capito, son mamma e papà,
i quali ora mi proteggono dall’aldilà.
Val bene la salute, va bene il denaro;
ma l’amicizia è il dono più caro.
Chi trova un amico trova un tesoro, non di moneta sonante, ricordati però, il suo valore è molto più importante.

La gioia aspettando il Natale

In questi giorni, quanti non segni ti arrivano anche se sei distratto,
per dirti che il Natale è arrivato.
Ti arrivano dalla TV, spot di ogni tipo,
spesso tanto volgari da far schifo.
Per fortuna a questo punto siamo presi da ricordi passati, ma tanto belli,
quando bastava poco come regalo: una sciarpa, un berretto che ci sembravano gioielli.
Ma quello che rimpiango è la gioia e l’allegria,
che avvertivo attorno camminando per la via.
Si andava a vistare i presepi allestiti con amore
all’ospedale o a casa di riposo delle suore.
Che gioia, che festa, tutto era più bello,
la Madonna, San Giuseppe e il bambinello.
Anche la natura si adeguava,
spesso per Natale e Capodanno nevicava.
Anche gli alberi spogli si vestivano a festa e non era cosa rara,
vedere ‘piroli’ di ghiaccio e coperti di ‘sizara’.
Non si sentiva il freddo né il rigore,
perché si aveva caldo il cuore.
Gesù bambino non abbandonarci per carità,
vieni ancora una volta per gli uomini di buona volontà.

Trecenta, 2001

L’alter ego

Non ho mai desiderato conoscerti perché mi eri antipatico.
Ma ora che mi trovo in queste condizioni sono costretto ad aprire un dialogo con te.
Aggredendoti ti dico: “Lo sai che una parte dei miei guai me li hai procurati tu”!
Io ora sono debole e ammalato.
Tu eri forte e prepotente.
Io ora sono costretto a chiedere aiuto.
Tu eri arrogante e menefreghista.
Io ora devo chiedere scusa per i guai che ho commesso per colpa tua.
Tu invece ti sentivi superiore e autosufficiente.
Ora io mi sento piccolo, bisognoso di pregare Dio.
Tu allora ti sentivi invece grande e onnipotente.
Ora la mia compagnia è la miseria ed il dolore.
Tu dicevi: “Sta allegra anima mia, cosa ti potrà succedere”?
Se i miei amici di oggi tenessero conto di come gli hai trattati?
Non era il caso che ti comportavi meglio?
L’io che eri tu da giovane, si è disintegrato.
Tu non esisti più.
Sei stato sostituito da quello che ora deve scusare le tue malefatte.
Penso che sia giunta l’ora di ricordare; noi due insieme, ai pochi amici che ci ascoltano.
Che dopo la primavera, viene l’inverno.
Che dopo la giovinezza viene la vecchiaia.
Che dopo la forza viene la debolezza.
Ma che anche dopo l’inesperienza viene la saggezza.
Amici finché siete in tempo, sforzatevi di essere più modesti,
comprensivi, e altruisti.
Comportandovi così, eviterete i nostri sbagli,
almeno voi; per noi è troppo tardi.

Giacomo

Saluto i miei amici bambini ancora angioletti,
e per nove mesi ognuno nel grembo siamo restati stretti.
Ho detto oggi nasco, e vado in una serra tutta fiorita,
entro nel mondo, incomincia la vita.
Il primo vagito in mezzo al trambusto e al rumore,
non so se fosse di gioia o di dolore.
Il primo volto che ho visto è stato quella della mammina
Se ti ho fatto soffrire, scusami, ti saluto con la manina.
Non meno importante è stato il viso secondo,
è del babbo che ringrazio di avermi fatto venire al mondo.
So che vi farò perdere qualche ora di sonno e la pazienza,
consolatevi, perché sono un dono della provvidenza.
Quattro i nonni che ho fatto contenti,
oltre agli zii, amici e parenti.
Nonna Luciana e nonna Angelina volano alto, questo va detto,
non si stancano di lodarmi, sono il loro pargoletto.
Altrettanto contenti sono i nonni Guido e Giovanni,
si vede, anche loro non stanno nei panni.
Scusate, ancora non mi sono presentato
mi chiamo Giacomo e sono appena arrivato
Così coccolato, forse vi procuro dei guai,
spero però di non deludervi mai.
Per il vostro affetto e amore,
con tutto me stesso vi ringrazio di cuore.
Non stupitevi se ragiono così appena nato,
mi ha aiutato il nonno, che benevolmente è un po’ matto.

11 settembre, un anno dopo

Da molti giorni è un'ossessione,
sui giornali, radio e televisione.
Si parla, un anno fa è successo un fatto tremendo,
non riconoscerlo sarebbe un fatto orrendo.
Migliaia d’innocenti hanno perso la vita,
e tutti ci siamo accorti che un'era è finita.
Quello che non capisco è il Presidente U.S.A. oggi lo vedi in preghiera
e domani alle Nazioni Unite va a parlare di guerra.
Vuol fare guerra ad un dittatore disumano
e non ricorda che i suoi predecessori le hanno dato una mano.
Dicevano possiede l'oro nero, il  petrolio,
è meglio tenercelo amico e qui è nato l'imbroglio.
Ben presto si è rivelato inaffidabile,
per fermarlo e decretare l'embargo è stato inevitabile.
Dell'embargo se ne fa un baffo, non lo sfiora nemmeno,
e il peso del dolore lo sopporta il popolo iracheno.
Donne, vecchi e bambini senza pane e medicine,
e i gerarchi hanno invece ville, parchi e piscine.
Di pace e disuguaglianza se ne parla all'infinito,
però quello che conta è sempre il profitto.
Per il Buon Dio non fa granché differenza,
se le vittime sono di un piccolo paese o di una grande potenza.
Da questi fatti, impariamo la lezione,
invece del portafogli  facciamo funzionare la ragione.
La guerra è un flagello ne abbiamo le tracce,
e con tutte le nostre forze cerchiamo la pace.  
preghiamo Maria e suo figlio Gesù,
e speriamo che di queste tragedie non ne succedano più

La pompa inruzenia

Anche una pompa può ricordarti la tua infanzia

Iar sira straco da stare in piazza, a me son invià par andare a casa.  Ma quando co imbocà via Azzi, impeto la casa de Perucon, quela, par capirse cla se cata, inco di fronte alla botega di piati e che i più veci inveze i se ricorda che li a ghiera l’ostaria dla Zole, a me capità un fato strano.

Mentre ca aiera  li ca pensava a le me robe, a sento di lamenti. A mo vardà in giro e no visto gnisun. O ascoltà meio e o capio chi ca iera ca se lamentava, la iera la pompa dl’acqua, li igrutolia vezin al muro.

A me son avizinà e quando cla ma sentù li darente la sa meso dire: “Sti sfaciati i sa dismentegà de mì, i me pasa in coste e gnanca i me varda, i ne se ricorda più quando ca butava acqua bona e che i potleti i se cavava la sen, i veci la sen a gla cavava la Zole col clinton, e po col conto. Par forza ora de sira  iera sbronzi, chi, ca se ricordava quante ombre chiea bevù.”

A sentire ste parole a me son meso a ridare.

“E, e, e, poco ridare ti ca te me scolti, a te sì ruzene e vecio anca tì come mì. E varda cha me ricordo anche de tì, quando con i to amighi salvadeghi come tì ca a vegnevi a impinare i busoloti dla me acqua par dopo sganzarla a doso a cle occhette  snarocione ca ghevi sempre insieme con valtri.

La me acqua la bevea  anca quei ca vegnea fora dal cinema de Bendini, dopo aver magnà: fava, brustoline e bagige ca ghe vendea Cavaglieri.

Incò, vardè come a me son ridota, ruzena e fora uso. Le curiere ca se ferma chi davati le me stofega col so fumo puzolente. A me se avizina solo qualche can, no par farme compagnia ma solo par alzare la gamba.

Le propria vera, ai omeni, fin ca te ghe servi tutto va ben, ma quando ca ne te servi più i te buta in to canton

Par fortuna che du oci svei i sa incorto dal me stato, e iutà da altri tri, con voia da fare i ma meso a novo. A ne buto più acqua, ma al manco a fago bel vedare e po’ a me consola che anca i zitadin de Tresenta i ne più come quei de prima, i se crede siori”.

Tresenta scomparsa

Indoe se andasea a fare la spesa, artigiani  e svaghi  de tresenta

Capiso che i tempi i cambia, ma chi, zinquat’anni fa a pensava chi i cambiasse a sto modo!

A me ricordo che me mama la partea con la sporta piena de ovi, e me par da sentire la ose de me opà cal ghe disea “Stà atenta ca ne te caschi, seto che frità ca te fè”.

Saio cosa cla andasea a fare? La spesa dal magnare in botega, allora a se disea cusì. E indoe se catava sta roba? Al pan da Azzolini, Rigonali e Pacin alle Cavale.  In centro da Gino Marini e so muiere, la Ghita, sostituio nella gestione da Renato Mantoan. Dalle sorelle Lorenzoni o dalla Gnese. A Santa Ciara da Rusghin. Al palazon da Carlin (prima ca nascese la Copeeativa). In Barguarina da Rino Bottegaro. Al gorgo dla sposa da Picio Ranaro. A Pasetto da Bombonato, a se catava i generi da magnare.

Sa te volevi la verdura a tla catavi dalla Maria Martelo, dalla Pieretta all’Ospedale e da Gaitan Ugnela sotto le fu scuole Medie (fu parche i ia fate morire con la salute), alla calà dal Strazarin dalla Lucia Frari, inveze so marì al laorava da falegname. Vizin alla Cesa, dall’Alvira (quante carote e sugurizia co magna).

Più tardi da Bepe Scarazzato alla pesa, da Angelin alle scalinà. E par finire, da quella ca andsea par le strade, la Pescina col la so musa e il caretin.

I cioldi e le vide le se catava da Romolo moletta detto anche “Co digo, digo, no posso, no posso”. E da Piteo, lì indoe che adesso a ghe le poste. Le scarpe da Romano Stlin o da Gioanin Valin. A giustarle, oltre che i du negozianti, a ghiera la bottega da scarparo da Onelio Sita.

La carne in becaria da Mario Stopazzola, sostituio da Mariolin Tocchio. Solo dopo, carne bovina e de cavallo, da Piero Babi. I gelati e le marene dal Piave e dalla Isola Gaglian davanti la Cesa.

Solo le medicine no le se catava in bottega, ma in Farmacia, da Sartorelli e da Migliari (ne me ricordo chi prima e chi dopo). La seconda farmacia è stata verta dopo la guerra, dal Dott. Columbis.

Par bevare un’ombra de vin tornen in centro: dalla Zole alla pesa, in piazza da Ciucia Fiori e da Alonzio. Da Carlin al palazon, alla Nave e da Castlan al ponte. Al gorgo dla sposa da Zorzon, in Barguarina da Vernuci.

Se questi i iera i capitei di puareti, disime come se podea ciamare al chiosco de Piero Maniezo. I so clienti i disea che na bala de vin la costava tanto a ciaparla,  ma dopo con qualche biccere se podea tegnerla viva par na stemana.

I siori al caffè i lo andasea a sorseggiare al Bar Centrale, da Pirani. Da Nino Bertolani, sostituio da Sergio Barbini, Piero Perusin, dalla Celsa e infine da Dante Ghiotti.

Al late a tlo catavi da Gusto Modena, dai fradei Dalla Pozza e da Albino Magnan, che i lo portava anche par le case. Caso strano i stasea tutti alle Cavale e spesso quando i se robava i clienti i se baruffava e i sle dasea de santa ragion.

Le robe par cusire a tle catavi da Renzo Romani in tal canton dla Cesa, detto “Mugnagna”o dalla Metilde vezin al teatro. Le stofe in te na roba più granda, al Bottegon dai Romani e i vestiti da Argante Cristo e più tardi da Renzo Bianchini.

Da Richetto Bolugnin a te catavi: piatti, scudele, pegnate, de tutto compreso al fumare.

L’artigianato in tal nostro paese le cuasi scomparso. Te ricordito? Gustavin al vendea e al giustava le biciclette e i motorin, come Guido Mesciaro, Gioani Pegorari, Ettore Draghi, Gino Bacalini, cal fasea un poco de tutto, Ristodemo Pulga invece d’inverno al ghea sempre in piè le sgalmare par stare caldo.

Le biceclete le se porta al stalo dalla Lina Moretta e dalla Teresa de Anzolin, all’Ospesdale, dalla Santa, dalla Zaira e dalla Mesciara al zimitero.

I frari, Eugenio, Toni, e Piero Pogi, iera sempre in via baruffare (bona zente, sa voto, iera fati cusì). Nantro fraro al iera Tachinon che prima al fasea le cortline e falzun. E pò, al li andasea a vendare davanti al teatro.

Michelin Benati al stagnava le pegnate e le tege de rame. I tal canton dle Poste, tutte le domeneghe a te catavi al moleta. Lu al cantava sempre: “al mistiere dal moleta le un mestiere ca consola, menando la gambetta al fa girar la mola”.

Alvise Quaio, a me par da vedarlo in tla so bottega infumegà. I cavai i se ferava da Gigeto Ganzerla e i se vestia da Arturu al selaro, i cavai ie sparì, a ghe restà solo i musi.

Sa te volevi infarinarte a te andasei al mulin da Crivelenti e da Azzolini. Ghiotti Gioani al vendea legna e bombole. Le porte e le finestre a le fasea Gioani Pasqualin, Gusto Fugagnoli e Guglielmo Stlin.

Ermete Fortunin che oltre a fare al falegname al vendea anca i capoti senza maneghe.

La pompa dl’acqua a tla giustava prima Beri e dopo Wilmo Violo con le so manone. A se disea che: “invidava le vide con la ciave e al le registrava con le man”.

Il contadin, al concime e le somemze, al le comprava al Consorzio Agrario e all’Unione Agricola. Par machinare e po arare la terra indasea da Curilo e Bortolo Pistarolo, dai fradei Bombonato e Beri. 

A comprare gli arloi bisognava andare da Bruno Ghirlanda o da Angelo Brunelo. Aradi e dopo le television a ti compravi da Guiari e da Bortolin Beri. (a me son sempre domandà parchè i lo ciamasse Bortolin, cal iera grande e grosso). 

I vestiti sul to doso a ti fasea Pasquin, Burato,  Griseto e Lanzon alla pesa. Dle sarte a me ricordo l’Elena Ghirlanda, la Ersiglia Bendin, la Ema Draghi e le sorele Bertazza. Ame dismentegava la Zomeide, cla ne parlava mai “poco”.

I caveii, le done le si taiava lore in casa, solo in poche, sle ghea i schei, le andasea dalle sorelle Cecè. Ai omeni e i potleti a ghi taiava so mama con la scudela. Solo in pochi i andasea a taiarsli da Danesi e da Salan e in Barguarina da Validio Capisi, chi iera più quei cal cavava che quei cal taiava. Ormai a son vecio e me scuso sa me son dismenteghà qualcuno. Inveze par al svago, a se andasea al teatro vecio, cal iera cusì belo.  Varda che roba! Anca se vecio a se podea vedare qualche operetta, i fasea feste da ballo, a se scoltava conferenze e dibattiti. Adesso cle novo a bala solo i ponteghi e le sceneggiate le sa spostà in Comune.

Dla me età, chi ca ne andà al cinema, anca fando la fila par entrare, dalla Cortelazzo o da Bendini? Solo quei chi iera senza schei. Quei indasea al cinema da Bendini con la testa sui cuscini (a leto).

Al belo a iera che le copiete in loia le fasea de tutto manco che vardare il film.

A me dismentegava i bei pomeriggi dla domenega ca se pasava al campo sportivo, quando a se vedea la squadra dal Tresenta cla zugava al balon. No come adesso chi fa i divi, quando che i ne se spacca le gambe con cattiveria.

Quanta nostalgia per le ore passate all’oratorio, induele andà a finire? Non solo l’0ratorio è spario, ma al novanta par zento dle botteghe de quaranta anni fa, che adesso ie sta sostuie da na botega più grande chi i la ciamà con na parola inglese “SUPERMARKET”. Se questo le al progresso a mi me scapa da pianzare.

Tresenta disfortunada

A  Tresenta  i  pochi siori i magnava  anca par i puareti,
tanto che par la gota, al sangue grosso e la sifilide ie sciopà tutti.
(Adesso ghe ne de novi, par questi se vedarà.)  
I pitocchi che i iera al numero più grosso e con la scorza più dura,
in tanti ie morti dalla pelagra, ma tanti ia portà  fora la sgirba.
Lori magnando zeola, aio, polenta e ton,
quando i piciava al pugno sulla taola, i gla fatta a salvare la pele,
si! La pele la se salva quando se magna poco e male.
Tresenta  te si sta difortunada, prima parchè         
chi comandava  i pensava solo par impinarse la so panza,
dopo calcosa le cambià, ma guere, aluvion e imigrazion,
i ta portà via mazza popolazion.  
I me amighi de scola chiè sta sgaraventà                                 
luntan dal paese a cercare un toco de pan.
Quando i torna, i dise a larga ziera,
“se ricorden ancora quando to opà, cal iera un bun omo,       
al se dasea , un grugnolo de pan, un pomo, un zimo d’ua. 
Te, te ricordi che sa restavino chi a morevino tutti dalla fame”.
Allora Tresenta  te ieri spaca in do,
da na parte i bei, in dasea al bar Pirani, sconsiglià ai pareti,
gli altri la maggioranza i se catava: da” Vernuci in Barguarina”,
da” Zorzon al gorgo dla sposa”, da “Castalan al ponte”.
In centro dalla “Zole”, “al “Cavallino da Ciucia Fiori” e da “Carlin”.
I  bevea  du goti de “clinton”alla olta fin che i deventava dispari,                      
e raramente; (ne ghiera schei) i magnava na porzion de bacalà,                       
o de tripe, e come contorno tanto par cambiare,
zeola, fasoi, e la famigerata polenta.(Al pan al costava masa).
A tarda sera i veghea fora, sgolà dal cantare, 
che i saea da bago, infumegà e sbronzi.
Na nota de colore la dasea a sto paese,
zerti personaggi ca vivea allora:
Dalla” Cota” a “l’Ardito”, “Rusigali”e “Becoti”,
la “Maria trionfa”,al “Treno” e i du Bepe, Sacheta e Cerati.
Intendense ben! Zente a so modo, ma da respetare,
zertamente meio de tanti smerdun. 
Tresenta te ieri cusì allora, ma no lè ca te si tanto meiora inco.
Però anche se cusì sgangharà  te son afezionà.
Chi son nato e chi spero ca se ponsa i me osi.

Trecenta, terra di vecchi e opportunità perdute

Trecenta, terra di vecchi e opportunità perdute.
La ferrovia ti doveva passare vicino,
lo zuccherificio non era nel tuo destino.
Però i fili li tiravano i padroni terrieri,
e quindi l’industria non poteva essere nei tuoi pensieri.
Dicevano:” se l’operaio in fabbrica si potrà  impiegare,
la terra chi l’andrà a zappare?
Tenere la gente cafona e ignorante,
era il moto allora imperante.
Venne l’alluvione e aggravò i disagi della popolazione,
il rimedio rimasto era l’immigrazione.
In pochi anni il numero dei tuoi abitanti si è dimezzato,
e per quelli che sono rimasti il progresso non è arrivato.
Tutti i giovani, le forze nuove,
il lavoro lo devono cercare altrove.
La tua popolazione è sempre più anziana,
la tua rinascita sempre più lontana.
Nonostante tutto, sarà perché ho poche pretese, 
ti voglio bene, perché sei il mio paese.
Quanti sogni, quanti progetti il tempo ha portato via,  
non posso dimenticarti, tu sei la terra mia.

Trecenta ingrata

Parla Roberto
Eravamo nel 1925 quando mi hai convinto,
che se avessimo messo insieme le nostre forze avremmo vinto.
Io ho donano la mia villa, la mia casa natale,
e tu col tuo sapere hai fatto sorgere un Ospedale.
Per tre generazioni ha ospitato i malati nel corpo,
hanno trovato nelle sue mura saluto e conforto.
Con eccellenti medici e pochi infermieri,
il malato si sentiva amato e ringraziava loro con sentimenti sinceri.
Oggi negli ospedali di personale ne vendo un stravento,
ma spesso il malato è poco contento.
E cosa pensare di quelle suore di bianco vestite,
solo a vederle ti davano conforto ora sono sparite.
L’opera svolta dovrebbe essere ricordata,
ma come succede spesso la gente si è dimenticata.

Risponde Ferruccio
Tu almeno sulla tua casa hai conservato il nome scritto,
la mia sta crollando e nessuno muove un dito.

Replica Roberto
Secondo te di questa scritta dovrei essere soddisfatto,
ma non lo vedi che l’ospedale è abbandonato.
Ci sono dei progetti per adibirlo ad altra destinazione,
ma per realizzarli dovrà passare una altra generazione.

In coro
Nel frattempo non ci resta che sperare
che l’incuria del tempo e dei nostri concittadini non lo faccia crollare.
Se con ritrovata buona volontà e devozione,
pentiti mettessero a profitto la lezione
Non è mai troppo tardi e non chiediamo una cosa pazza,
dedicateci una via, non pretendiamo una piazza.
E poi spiegate, per favore, ai vostri bambini
chi erano Roberto Rossi e Ferruccio Martini.