La me maestra

Se sono il poco che sono lo devo a questa splendida persona.

Alle geme par sbociar e fiorir a ghe vole luce e calor,
alla mente dun putin par svilupar a ghe vol un bon educator.
Sa tlo cati, tutto va ben a te si fortunà,
sa ne tlo cati par tutta la vita a te sirè condizionà.
L’intelligenza lè un dono de natura,
se pò a tla coltivi la te sirà utile par la vita futura.
A mi la sorte la ma riservà na intelligenza normale,
ma par fortuna ò catà na maestra eccezionale.
Questo sintende par la me educazion .
prima de ela ricordo solo i miei genitori, questo le fora discusion.
Per questo è una delle persone ca ricrdo di più,
parchè la ghea pochi difetti e tante virtù.
La me maestra la iera capace, generosa,la iera na educatrice vera,
forse anca questa la iera na dote: era severa.
A ghe dasea fatidio le fandonie  e i piagnistei,
la ne vardava in faccia sa ierino brutti o bei.
Gnente difarenze, a ierino tutti alla pari,
la volea essar scoltà, ma la ghea pazienza in specie coi sumari.
Uno di bei ricordi le; quando in tle ore de ricreazion,
la istruiva “i puareti de schei”par l’esame de amision.
Par essare accetà alle” scuole medie”a se dovea superare un esame,
come se pol capire questo a iera più fazile par i siori, no par chi ca ghea fame.
Chi ghea i schei i andasea a prepararse in privà,
iveze al fiolo dal puareto al iera  bello spacià.
Quando tocava l’ora de religion,
in te cle  altre classi a te sentivi bacan e confusion.
Le insegnanti le lasava al prete in balia de alunni indisiplinà, 
e se pol capir al risultato de stà  zente svoià.
La me maestra, la ne se movea dal so posto e la controllava, 
ca stessino attenti elle spiegazion e in questo modo a se imparava.
A posso dire che catar na maetra cusi le stà na benidizion,
e ben la sa merità l’onorificenza de Cavalier dell’ Istruzion.
Al so ricordo a glo in tal cuor anca sa ne son più ragazzo,
la me maestra la se ciamava Annetta Cortelazzo.  

Salice – Il burattinaio

Noi da bambini avevamo solo pochi divertimenti uno di questi erano i burattini e non per dire quello che questi spettacoli ci insegnavano era molto di più e meglio di certi cartoni animati d’oggi.

Quando ca iera putin, qualche anno fa, a ne esistea la television e poche radio.

A ghiera solo al cinematografo e par noantri putin i burattini.

Uno de sti burattinari al se ciamava Salice, al iera un vero artista, come cal li fasea laorare lù a ne ghiera nisun.

Sto capo comico oltre a darghe la ose, ai masci da masci, alle femene da femena. Al se permetea quando cal iera al riparo da rece indiscrete da intaolare dle discusion con i so artisti.

E volio ca ve diga, spesso a ghe tocava piantare la piva.

Al più sfazà e prepotente al iera Fasolin.

Ma listeso al ghe volea un ben come che i fose i so fioi.

I so nomi: Fasolin a len za conoscesto ,e po la Polonia, Lisandron,(Al bel Lisandar di origine bolognese.)

Colombina, Brighella e Arlechin Batocio.

Una dle batu de, Lisandron sindaco de Bologn la iera questa: “Na ose in distanza; la zente la ga  fame” risposta “ Sona mezodì”.

Na basora dopo aver fato al debuto a Salara e aver otegnu un sucesso strepitoso; (i presenti al spettacolo ia dito ca tremava la sala dal piciaman) Ne badenghe a spese, disenghe na sala.

Tornando a casa con la so bicicletta sgangherà, quando cle stà al campo sportivo de Tresenta, ( i da saver che le strade iera giara con de cle buse ca fasea paura) al se incorze ca ghe scapà un artista dal saco, a podì inmaginarve, tutto dispera al torna indrio pensando; ca ghe sia sucesso qalcosa, ca ghe sia vegno male, in te stì  momenti a se pensa sempre al pezo.

Ma nò che in lontananza, vizin al Gorgo dla Sposa, in peto a Cacian par intendarse: al vede Lisandron la cal ride come un mato. E a alta ose al disea: “a go fato un sherzo al me paron.”

Salice come cal ghe stà vizin al ga da na giazà al freno dla roda davanti dla bicicletta, che domenti al se incapela, e serio come na manara, con le man in fianco al ga dito:”da ti Lisandron un scerzo cusì a ne mlo siria mai spetà”.

Al la ciapa con sgarbo e al la ficà in tal saco a testa a baso, (da stofegarlo) borbottando “cusì nantra olta a te impari”.

E chi a finisce la storia….

P. S. chi ha scritto questa buffa storia si ricorda di avere visto in un ripostiglio vicino alla casa del signor Salice i suoi amici burattini che poi alla sua morte sono spariti, e nessuno ha saputo più niente; ora non c’è più neppure la sua casa.

A Nicola Badaloni (1854-1954)

Dopo tanti spostamenti i Ta trovà il posto ideale,
i Ta fatto un monumento davanti la scola comunale.
Ma i scolari frettolosi i Te passa davanti,
i ne sa chiè ca ti si, i è ignoranti.
Se i ne te conosce non l'è colpa loro,
l'è dei genitori chi pensa alla cariera e al so laoro.
All'ora a un grupo de putin a go dito: "Sa stè boni,
ve digo chiè cal iera Nicola Badaloni."
Al 'iera un medico di Recanati vegnù nel nostro paese,
con tante idee in testa e poche pretese.
L'ha speso tutte le so energie e capacità,
par solevar la pora zente della poertà.
La dieta dei nostri veci la iera magra,
forza da magnar polenta ghe vegnea la pelagra.
Al sa batù qua e in Parlamento,
e solo dopo tanti anni s'ha visto un meioramento.
Come tutti i omeni che i fa le belle robe,
i vien dismentegà, ne ho le prove.
Ma rivolgo a Lu e ghe digo quante volte i ta stapazà,
i Ta fato un monumeto su le scalinà.
Un posto più bruto i ne podea trovare,
solo i can sotto de Ti, i vegnea a pisare.
I Ta dedicà le scole Media in Piazza Marconi,
e poi i se fatto imbroiar come minchioni.:
al parchè i disea cl'è siria cascà,
ma dopo tanti anni i'è ancora là.
I  Te tirava da na parte o da l'altra par al so comodo,
e non i se incorzea che ti te stava scomodo.
In un comizio i disea: "La pensava come mi".
L'altro comizio ribatea: "Solo un sfaciato al por dire cusì"
Quando i Te dasea dell'antifascista Te ieri contento,
allora a Te domando "Cosa pensito di to amici oggi in Parlamento?"
I ha dito ca Te ieri un "magnapreti" anticlericale,
ma i se dismentega ca te combatù la pelagra flagello micidiale.
I ne se ricorda più, che le stesse robe al le fasea anche Gesù.
Me mama che de ste robe non la saea gnente,
la me disea non scoltare quel ca dise la zente,
l'ha portà me nona col tetano a farla visitare,
il professore scotendo la testa al ga dito "A ne ghè più gniente da fare"
Ascolta bene, al ga dito proprio cusì,
"A sto punto, prima a vien Dio e dopo mi".
In te sti giorni ca pare che i omeni i sia deventà mati,
ben vegna il gemellaggio de Tresenta e Recanati.
Là Te si nato, chi Te si morto,
anche se l'è tardi, è meio chi se ne abbia accorto.
A nome dei me concittadini Te chiedo perdono,
e ringrazio la provvidenza cla sa da Ti per dono.
I putin in silenzio e a boca verta ia scoltà,
e dopo tutti insieme un baso in cielo ia mandà.

Dott. Prof. Senatore Nicola Badaloni

E’ stato un illustre cittadino di Trecenta ma pochi lo ricordano. Questo scritto serve per ricordare chi era e quali sono stati i suoi meriti.

Nicola Badaloni, il Professore come a Trecenta tutti lo chiamavano, era nato a Recanati il 2 dicembre 1854, si è laureato all’università di Napoli il 27 agosto 1877.

Suo padre Leonardo era Ingegnere comunale che, per non avere interferenze nella professione, affidò le molte proprietà terriere ad un fattore, il quale, con l’imbroglio, se ne impadronì. Questo comporterà ristrettezze e disagi per la famiglia. Aveva quattro fratelli, due maschi laureati e due sorelle. Una si chiamava Anna, la quale convisse con lui fino alla morte.

L’11 luglio 1878 fu nominato medico condotto di Trecenta che a quel tempo era paese molto povero. Basti pensare che quando assunse la condotta, il 3,16% degli abitanti aveva la pellagra che è una malattia dovuta alla malnutrizione, il cibo consisteva per lo più di polenta.

Incaricato dalla deputazione provinciale di Rovigo, indagava sulle cause della pellagra e sui tremendi effetti che tale malattia produceva. Lui non si limitava solo a questo, ma aveva esteso il suo interesse all’ambiente economico, morale e sociale nel quale il pellagroso si trovava a vivere.

Questo lavoro lo tiene occupato per quattro anni e alla fine concluse: “I polesani devono variare i cibi e mangiare di più.” Un bel problema!

In quel periodo era impegnato anche in politica, nelle file socialiste. La militanza gli procurò molti guai, tanto che dovette lasciare la condotta di Trecenta e prestare la sua attività presso l’Università di Padova come aiuto–assistente alla cattedra di Medicina e Farmacologia.

Nel 1886 è eletto come deputato, poi dal 1889 al 1919 ricopre ininterrottamente la carica di consigliere provinciale. Il 3 ottobre 1920 è eletto senatore del regno su proposta del Presidente del Consiglio on. Giolitti. Il suo impegno politico fu sempre a favore dei poveri e dei malati.

Povero come era vissuto, Badaloni cessa di vivere il 21 maggio 1945.

Dimenticare il Prof. Badaloni sarebbe un grave peccato.

Gli aquilotti

Quello era vero tifo, era entusiasmo per la propria squadra, era divertimento

Una guerra terribile era finita,
si respirava aria nuova, rifioriva la vita.
La mia comunità si svegliò di botto,
correvano gli anni mille novecento e quarant’otto.
Si stentava a credere che fosse tornata la democrazia,
dopo un quarto di secolo di dittatura spazzata via.
In ogni campo tutto era da rifare,
anche in parrocchia, l’aria doveva cambiare.
La sorte ci ha dato una mano, quando,
come cappellano ha fatto arrivare Don Armando.
Prete dinamico con tante idee in capo,
ed in pochi anni la comunità ha rinnovato.
Per noi giovani è stata una manna venuta dal cielo,
tanto che ancora oggi si apprezza il suo zelo.
La sua attività la divideva fra Chiesa e Oratorio,
di iniziative ne ha sfornato un emporio.
Ricordo la sua idea, promossa a pieni voti,
di costituire la squadra giovanile di calcio “GLI  AQUILOTTI”.
Chi aveva talento calcistico all’opera venne chiamato,
tutti gli altri in vari modi il loro aiuto hanno dato.
Si partiva con mezzi di fortuna, camioncini sgangherati,
sembravamo un piccolo esercito, pacifico, dal Don, comandati.
Sui campi caldi, in gergo calcistico s’intende: Ficarolo,
Calto, Gaiba Stienta, e Bagnolo.
A squarciagola un inno inventato lì per lì si cantava,
in qualsiasi posto la squadra si recava: 
“Oio, oio ,oio minerale, 
per batter gli AQUILOTTI ghe vuol la nazionale”.
Oggi un suo fedele collaboratore,
è tornato alla casa del Signore,
e perciò, dei componenti, per non fare torto a qualcuno,
mi limito a nominarne un pochi, e per primo l’amico Bruno.
Quindi il mitico “Giagi, il portierone,  
 poi Giovannino, Virgiglio, Vittorino e l’immancabile Gastone.
Mi fermo, anche perché la formazioni è passata alla storia,
e non vorrei essere tradito dalla mia memoria.
Una parte di questi amici sono passati a miglior vita,
e per loro la riconoscenza è infinita.
Don Armando ti preghiamo, sicuri di avere in cielo un protettore,
ora che con i nostri amici sei nella casa del Signore. 
 

A Giovannino

Signori si nasce e si lasca un bel ricordo

Ammirando queste vette, sarà l'emozione,
non posso nascondere la mia commozione.
Il mio pensiero se ne va a quando ero bambino,
e a quell'amico mio, Grisetti Giovannino.
Io figlio di contadini, ancora oggi gli rendo onore,
mai mi ha fatto pesare che lui era figlio del Professore.
Era gentile e non alzava la voce, sempre educato, 
e di questo suo modo di vivere, ci ha gratificato.
Mi rammento di una grossa nevicata,
mi prestò i suoi sci e io giù per la scarpata.
Ancora oggi  lo ricordo con la sua risata intelligente,
disse: “Ti sei fatto male, la rottura degli sci non conta niente".
All'oratorio le ore passavamo giocando,
il nostro maestro era Don Armando.
Quanti giochi: il Grest o le Olimpiadi Trecentane,
se andava bene gli procuravamo un sacco di grane.
Quando rivedo le foto di quei tempi lontani, 
il mio ricordo va agli amici ma soprattutto a Giovanni.
Questo il suo nome, e avendolo conosciuto fin da bambino,
per noi amici era e sarà sempre Giovannino.     
Le strade si son divise ad una certa età,
io nei campi, lui all'Università.
Lo dico con orgoglio e cuore sereno,
però l'amicizia non è mai venuta meno.
La meta che aspirava era una laurea in medicina,
invece una triste notizia arriva una mattina.
Un lampo, un tuono; un dei momenti infernali,
con un sol colpo le ha tarpato le ali.
“Tu sei in cielo io son qua giù, 
però la nostra amicizia non finirà mai più.”

dopo la visita al bivacco.......  
   
Bivacco Grisetti sotto il Moiazza (Copyright http://www.ormeverticali.it/relazioni/moiazza-nord/)

Morire a vent’anni

A ricordo di suo zio Amedeo, morto in Grecia, nel 1943.

Avevo vent’anni, non mi ero mai allontanato da casa.
Arriva una cartolina, devi partire per il militare,
dove servirai la patria.
Di questa parola “Patria” ne avevo sentito parlare a scuola.
Me ne parlò mio padre, lui l’aveva servita nella guerra 1915-18.
Mi hanno sempre fatto paura le parole sacrificio ed eroismo.
Arrivato a destinazione fui stordito dalle parole:
“Dovere, disciplina, fedeltà, servizio”.
Ancora inesperto e poco addestrato,
fui trasferito in Grecia, al fronte,
l’impatto fu terribile, un inferno.
Una notte scura e fredda, rischiarata solo dai bagliori delle fucilate.
Il nemico era invisibile avvolto dal buio.
Una voce imperiosa gridava:
“Avanti, avanti, deve essere una sorpresa”.
Fui colpito in pieno petto,
un forte dolore invase il mio corpo.
Una macchia rossa inondò il mio panciotto.
Caddi nel fango gridando disperatamente:
“Mamma, papà, Dio, dove siete? Aiutatemi, 
Patria, fratelli, almeno ricordatemi”. 
Poi il silenzio.
 

Si va dal nonno

Avevo imparato da poco ad andare in bicicletta ed un sasso traditore mi fece volare atterrando sui ciottoli. Povere ginocchia! Ma io feci finta di niente perché il giorno prima mia mamma aveva detto che domenica si sarebbe andato a trovare il nonno.

Non potevo perdere un’occasione simile. La distanza non era tanta, ma la strada era pessima. Il nonno abitava a Felonica Po un paese del basso mantovano.

Quel giorno mi alzai di buon mattino, colazione leggera e su in sella. Dopo le prime pedalate le ginocchia iniziarono a farmi male, anche se io cercavo di ignorarle. Hai che dolore! Ogni scossone una fitta.

La mamma premurosa chiedeva: “Come vanno le ginocchia?”. Ed io rispondevo “Bene, bene Mamma”. Che bugia!

Per arrivare alla meta si doveva transitare per il paese di Calto, al posto che tutti chiamavano il “porto”. Lì si doveva attraversare il fiume Po su appositi battelli o sul traghetto.

Poco prima di arrivare, come le altre volte, mia mamma si metteva gridare ad alta voce “Ooooh, ooooh”. Era il segnale per avvisare i traghettatori che se non fossero ancora patiti di aspettare i nuovi clienti.

Dopo la salita faticosa, si arrivava sull’argine ed ecco una visione stupenda. Il re dei fiumi d’Italia, il Po, docile se il corso era tranquillo, tremendo se in piena.

Una volta sistemato a bordo, la mia fantasia si poté sbizzarrire. Mi venne in mente Caronte, il traghettatore di anime di cui la mia maestra aveva da poco parlato a scuola, o Fetonte, il dio che precipitò nel fiume Eridano con il carro del sole e i cavalli imbizzarriti.

Nel frattempo il traghetto attraccava alla sponda mantovana. Salendo sull’argine mi si presentava Felonica Po, appollaiata vicino all’argine.

Mia mamma salutava alcuni parenti che abitavano lì vicino e, dopo gli ultimi due chilometri di strada, si arrivava alla fattoria del nonno  chiamata “Al pradon”.

Baci e abbracci. Ma le ginocchia facevano male e tutti mi chiedevano come era successo. Il clima cambiava quando le mie zie premurose mi invitarono a sedere con davanti pane e abbondante formaggio grana, quello buono. Guardando tanta “grazia di dio” mi veniva voglia di incartarne alcuni pezzi per i giorni seguenti. Non se ne vedeva a casa mia, dove non si pativa la fame, ma non c’era tanta abbondanza.           

Il chiacchiericcio cessava quando compariva sulla porta il nonno, uomo austero, di poche parole, ma di una grande bontà. Portava i segni di una una vita dura e sofferta. Era rimasto vedovo a quarant’anni con sette figli.

Ricordo di quella volta che gli portammo la notizia che era diventato bisnonno e gli domandammo come si sentisse in tale veste. Ci rispose: “Diventare bisnonni è come diventare Papa. Restano pochi anno da vivere.”

Al suo arrivo, salutava la figlia, che era la più anziana dei sette fratelli e mi accarezzava i capelli (allora ne avevo tanti) dicendomi: “Come stai piccolino?”. Io ero il più giovane dei nipoti.

Mia mamma non finiva mai di parlare con le cognate ed io di giocare con i cugini.  Ma a tardo pomeriggio si doveva tornava a casa e quella volta, dovevo affrontare di nuovo il tormento alle ginocchia. Ma quanta felicità.

I miei angeli custodi

Ci si accorge di quali persone squisite avevi 
attorno solo quando non ci sono più.
Lo sapevi anche prima ma eri distratto.
Però solo ora mi rendo conto di avervi perso fisicamente,
ma di sentirvi ancora qui vicino e di
amarvi come e più di prima.
Con modeste parole ve lo dimostro:

Caro papà,
mi sento tuo sosia sia fisicamente che come carattere,
(la pelata e la schiena curva ne danno la prova)
Il carattere poi!
Deciso, responsabile,( anche se un tantino avventato)
Burlone ma rispettoso, bastian contrario, generoso
e nello stesso tempo egoista.
Essendo l’ultimo dei tuoi figli, non cercato ma tanto amato,
hai voluto mettere del tuo per differenziarmi dai miei fratelli.
Grazie, papà.

Cara mamma,
ho sempre immaginato l’angoscia  che ti avrà preso
quando hai saputo di essere incinta per la quarta volta
dopo undici anni e da un ultimo parto difficile,
quello di mia sorella Maria.
Nonostante tutto mi hai regalato il colore dei tuoi occhi.
il viso rubicondo, come il tuo e, perché no, una parte del tuo carattere,
fragile e sensibile, che spesso ci ha fatto soffrire.
E’ proprio vero, di mamme c’è né una sola.
Grazie mamma.

Alfredo fratellone mio,
tu hai sempre saputo della nostra diversità di carattere,
però sempre rispettosa, ci faceva uguali ma diversi.
Io focoso e un pò sbruffone, tu sempre calmo,
ti ho sempre, ma specialmente ultimamente,
sentito come un secondo padre.
Grazie Alfredo

Caro Danilo fratellino mio.
Quanto ci assomigliavamo nei pregi e nei difetti.
Di te ricordo tante cose, ma due sopra tutte:
quando mi sistemavi le basette,
e quando (per burla) volevi mettermi i cerotti 
alle orecchie a sventola, per farle aderire alla testa.
Grazie Danilo.

Cara Maria sorellina mia,
sei stata la mia mammina.
Mi hai salvato quando stavo per annegare.
E mille altre volte nel corso della vita.
Quando poi la sofferenza, sia fisica che morale ti ha colpita, 
venendoti a fere visita, tu me la nascondevi,
io però capivo e facevo finta di niente.
La situazione si aggravò quando venivo a trovarti,
(rinchiusa in quella specie di gabbia)
ti avevano detto per il tuo bene. Mah!
Al vederti il mio cuore gioiva con il tuo
ma quando ti lasciavo i nostri cuori piangevano.
Grazie Maria.

Oltre all’Angelo Custode che mi ha affidato il creatore.
Ne ho altri cinque: Papa’, Mamma, Alfredo; Danilo e Maria.
Signore ora che questi miei cari sono con Te in Paradiso,
aiutali a pregare per tutta la mia “FAMIGLIA”
e noi pregheremo per loro.     

Allegra compagnia

Il lavoro non pesa se sei con una compagnia allegra

Sono un poeta molto ruspante,
ma di cose da raccontare ne ho tante.
Qui mi presto ad esaltare,
una allegra compagnia che è da ammirare.
Manuela e Ilaria sono due amiche,
e dire il vero sono veramente squisite.
Una è grande l’altra piccina,
fanno venire in bocca l’acquolina.
C’è Mattia e c’è Andrea,
ora di sera ti fanno venire la cefalea.
Manuele ora sta facendo il militare,
è di buon carattere e quindi da elogiare.
C’è poi Beppe con molte assenze,
va a pescare e non prende mai niente.
La Palmira  sua moglie, questa da raccontare è bella,
ha sempre vuota la sua padella.
Il principale è presto detto,
è tranquillo solo quando è letto.
Il resto della compagnia sono mamme,
se  tocchi i loro figli sprigionano fiamme.
Chi ha scritto queste  sciocchezze,
parla di continuo e mai non smette.
Se ho detto cose irriverenti ora mi scuso,
se mi prendete a botte risparmiatemi almeno il muso.