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Uovo esplosivo, un militare per amico

Sotto al grande albero, riparato dal sole e dagli occhi indiscreti si trovava un grosso carro armato tedesco. Il gigante d’acciaio con la sua mole e il suo equipaggiamento bellico contrastava con la scena pacifica e serena che lo attorniava, polli che razzolavano, oche e anatre che nuotavano nel piccolo stagno che si trovava vicino al pozzo.

C’erano perfino una capretta con suoi due gemellini. Queste bestiole erano i compagni di gioco di Giacomo, bimbo di quattro anni, sveglio e curioso. Quel mattino, ancora con gli occhi assonnati, corse alla finestra della sua stanzetta per salutare i suoi amici animali e come vide quel bestione di ferro rimase sorpreso e chiese alla mamma cosa fosse e quando fosse arrivato; la mamma subito rispose alla sua domanda: “Come vedi Giacomo, quello è un grosso motore arrivato questa notte mentre tu dormivi”. Al  bambino, quando sentiva parlare di trattori che erano la sua passione gli si illuminavano gli occhi e di corsa, scalzo, (eravamo d’estate) volle vederlo da vicino. Giunto a pochi passi dall’oggetto della sua curiosità, fu fermato da un militare tedesco, il bimbo senza perdersi d’animo chiese “E tuo questo motoe, lo posso vedee”.

Il militare un uomo di trent’anni che parlava bene l’italiano perché da giovane aveva studiato a Roma gli rispose:” Vedi bel bambino io sono il responsabile di questo motoe (come dici tu) e nessuno si può avvicinare se non in mia presenza”.

Giacomo accettò il patto e in poche ore diventarono amici. Il bimbo faceva domande, e il suo amico rispondeva, anche perché gli sembrava di parlare con suo figlio nato poco dopo che era partito per la guerra e non l’aveva mai visto se non in fotografia.
Il momento più emozionante arrivò quando, aiutato dal suo amico, salì sul mezzo. E giù domande “ che cos’è queto, e quello”, e il soldato con bella maniera e pazienza a rispondere, fino a che gli occhi del bimbo si fissarono su  degli oggetti strani messi in ordine  sopra ad un’apposita mensola inaccessibile ad un bambino. erano bombe a mano. “Che cosa sono quelli”.
L’amico per non impressionarlo rispose “ Sono le uova del carro armato”.
Giacomo avuta la risposta rimase in silenzio perplesso, finita la ricognizione si salutarono, ciao Giacomo; “ciao militae”.
Il giorno dopo Franz (mi ero dimenticato di dirvelo questo era il nome del militare) riordinando le sue cose si accorse che qualcuno era salito sul carro; lì per lì non diede molta importanza al fatto; invece fu preso dal terrore quando si accorse, dopo averle contate più volte, che mancava una bomba a mano. Chi l’aveva presa  aveva l’accortezza di spostare le altre in modo di non fare scoprire subito il furto. Accortosi del fatto, il militare rimase come paralizzato: come giustificare il furto presso i suoi superiori dato che era lui il responsabile di ciò che aveva in dotazione? Chi poteva essere salito senza che lui lo vedesse, e come aveva fatto tenendo presente che in sua assenza il mezzo era sempre chiuso a chiave: un bel rompicapo!

Decise di indagare in modo riservato senza dare nell’occhio per non aggravare la situazione.
Dopo avere scartato tutte le ipotesi più o meno realistiche, si concentrò su quella che riteneva la più  probabile. Come folgorato da questa idea si mise a cercare la padrona di casa, la trovò nell’orto che stava raccogliendo i pomodori.

Quando la donna vide che il militare veniva verso di lei fu presa da un certo imbarazzo; quando il militare le fu vicino accortosi che la donna era diventata tutta rossa in viso la rassicurò dicendo in un buon italiano: “Mi scusi signora, non abbia paura vorrei solo chiederle se ha delle galline che covano”. La donna sorpresa da questa domanda rispose: “A ghea na cioca tardiva ma la ma abbandona al nido, al sa con sto caldo, e la ma fatto andare a ramengo tutti i ovi, però la ne vol discoarse le sempre in nido”.  “Può farmela vedere?” “Come al vole sior”; e scorlando la testa la se disea dentro de ela questo le mato”, e lo condusse nel pollaio. “Adesso può farmi vedere quante uova sta covando?”

La donna sempre più sbalordita: ”Come al vole sior ma come go dito ie tutti lendegari( andati a male) “. La donna sollevò la chioccia delicatamente e con sorpresa vide che in mezzo alle uova bianche ve n’era una nera: era la bomba. Al vedere ciò, si mise le mani nei capelli gridando :”Madonna mia!” Il militare la rassicurò:” Signora non è niente”, e delicatamente raccolse la bomba per non creare guai seri.

A poca distanza dalla scena si trovava Giacomo che uscendo da suo nascondiglio corse singhiozzando fra le braccia della mamma gridando:” Mamma, mamma il militare mi aveva detto che quello era un uovo di carro armato e io l’ho messo sotto la ciocca, perché ne volevo uno piccolo tutto per me”. Vedendo tutto ciò il militare accarezzò Giacomo pronunciando queste parole: “La colpa è tutta mia, d’ora in poi chiamerò con il loro nome tutte le cose; ma dimmi quando l’hai  presa? “Quando ieri ti ho detto che avevo fame e tu sei andato a prendermi una galletta (pane militare).

A questo punto Franz con una certa severità apostrofò Giacomo: “Impara a non mettere le mani su cose che non conosci; questa volta è andata bene ma poteva succedere una disgrazia”.
La mamma stringendo amorevolmente il bimbo al seno:” Eto capio”, e come risposta: “Si mamma”.
Morale, noi adulti dobbiamo capire che ai bambini si deve dire sempre la verità per non correre il rischio di fatti incresciosi.

pubblicato su Experientia 20° Anno accademico 2005-2006

Festa di Tutti i Santi

Questa mattina mi sono svegliato di buonumore, tutto per un sogno fatto, tanto bello che lo voglio raccontare. Ho sognato d’essere bambino, e nonostante fossimo in autunno fui colpito nel vedere
un giardino fiorito come in primavera. Attratto da questa bellezza, e trovando il cancello aperto, mi affacciai per guardare dentro.
Fu a questo punto che un bambino dalla mia età, con gli occhi vivi e i capelli biondi mi prese per mano. Meravigliatogli chiesi: “Ma tu chi sei”, e lui rispose “Il tuo angelo custode, vieni con me”.
Mi condusse verso il centro del giardino dove si svolgeva una festa.
I partecipanti erano divisi in due gruppi, quelli davanti vestiti di bianco, con in mano gigli candidi, quelli che seguivano vestiti di grigio, loro avevano un mazzo di rose rosse, con nel gambo qualche spina.
Avanzavano verso il centro del giardino, da dove veniva una luce accecante, e accompagnati da canti e suoni melodiosi. Il mio accompagnatore incominciò a spiegarmi la scena: “Vedi quelli sono i Santi del Paradiso oggi è il loro giorno, se guardi bene puoi notare che sono tutti uguali, non ci sono differenze, i più venerati tengono per mano i meno, i bianchi con i neri, poi gridò guarda…guarda è
arrivata anche una suora piccola e curva, guarda la luce che emana dagli occhi.
A questo punto mi spiegò perché portavano vestiti diversi: quelli in bianco sono stati purificati, gli altri lo stanno facendo, se guardi bene nella folla vedrai anche i tuoi genitori e fratelli, come un solo popolo, tutti vanno verso la luce,che loro vedono, invece tu e i tuoi amici intravedete. QUELLA LUCE E’ DIO.
A questo punto mi svegliai, la voce della radio ripeteva: “Oggi è il 1° novembre”.

I tre amici, una fiaba

C’era una volta: così cominciano tutte le favole. Ma la nostra no! In un posto imprecisato di questo mondo vivono due bellissimi bambini. Lei è bionda e un po’ cicciotella, con i capelli lunghi sembra una fatina. Lui è più piccolo ed, essendo fratellini, è biondo anche lui, ma i suoi sono ricci.
Come tutti i bambini, sono vivaci, curiosi ed intelligenti. Lei si chiama Michelle e si arrabbia con un suo vicino di casa, smemorato, che la chiama “Scelli” confondendo i due nomi.
Siete proprio curiosi! Volete sapere anche il nome di lui: si chiama Thomas. Come compagna di giochi hanno una cagnolina cicciotella anche lei, che risponde al nome di Lilly. Vederli è uno spasso, quando poi li senti cinguettare sembrano tanti uccellini che si affacciano al nido in attesa di spiccare il volo.
Il mattino che si sono recati per la prima volta all’asilo, erano allegri ed entusiasti. Gli avevano detto che avrebbero trovato tanti nuovi amici e l’amicizia, per i bambini è una cosa sacra. Tutto andava per il meglio fin quando un giorno tornarono a casa avviliti e sconsolati, perché un loro compagno li aveva chiamati “nomadi”. Mi ero dimenticato di dire che i due  bambini sono figli di due squisite persone d’origine nomade e le persone poco sensibili vedono la cosa come una colpa non pensando che siamo tutti figli di Dio.
Accertato che il mondo è cattivo, i due bambini chiesero una magia e  assieme alla loro amichetta furono accontentati. Salirono sopra una nuvoletta creata apposta per loro ed incominciarono a volare per il cielo. Non potete immaginare quante cose belle incominciarono a vedere: incontrarono angioletti, stelline, astri, ma anche bambini abbandonati dalle loro madri, gattini e cagnolini lasciati per strada dai loro padroni (di questo soffriva anche Lilly, ricordando di essere stata anch’essa abbandonata, ma per fortuna è stata raccolta ed amorevolmente adottata da quattro mani amiche).
Stupefatti nel vedere tutto ciò, i tre amici spaziali si domandavano quale fosse la causa di tale assemblea. Dopo uno scossone ed una virata, la nuvoletta si trovava dinanzi ad una nuvola più grande, di colore azzurro/rosato. Non credono ai loro occhi: seduto al centro, c’è un bambino diverso dagli altri per bellezza e fascino, attorniato da altri bambini neri, gialli, bianchi ed anche di pelle rossa, solo di uno di questi bambini si conosce il nome “Giacomo” l’amico della Lilly e delle “coche”, tutti con i loro cagnolini, gattini, coniglietti, leoncini e piccoli canguri. Sì, perché questi bambini arrivano da tutto il mondo.
Incuriositi, i due bambini volevano sapere chi fosse questo bambino così strano. Lui rispose: “Io sono Gesù Bambino e questi che vedete sono i miei amici, che sulla terra sono stati trattati male come voi. Ora non piangete più, perché la gente dalle vostre parti non è cattiva, ma solo ignorante. Ritornate a casa dai vostri genitori, non ascoltate più le parole cattive che vi dicono. E quando siete tristi, pensate che in cielo c’è un bambino che vi vuole bene”.
Tornati a casa, i tre amici scesero dalla loro nuvoletta e raccontarono a tutti, la loro bella avventura.


Trecenta, 2001

pubblicato  su EXPERIENTIA  del  2003

I trapassati, ovvero tristessa e rimpianto

La nostra storia, pur essendo fantastica, ha il pregio di far meditare. Siamo giunti alla fine d’ottobre e fra qualche giorno da voi sarà celebrata la festa in nostro onore. Sappiamo per esperienza come vanno le cose: le nostre residenze saranno invase da esseri viventi, chiacchieroni poco educati.
Chi vi sussurra questa storia sono due anime annoiate. Abbiamo fatto richiesta e siamo stati accontentati, volevamo passeggiare nel cortile con giardino della nostra nuova dimora. Come sapete, le stanze di questo condominio sono strette e, di tanto in tanto, sentiamo l’esigenza di uscire per respirare aria pura, non viziata.
Ora mi presento: mi chiamavo Orgoglio, ora mi chiamano Rimpianto. Di problemi ne ho avuto tanti. Mi sono sposato in giovane età, che ancora stavo studiando. Allo scoppio della guerra, ho dovuto interrompere e partire per il fronte. Sono stato catturato e deportato in Germania, dove sono sopravvissuto agli stenti solo grazie al pensiero della mia giovane moglie e dei miei genitori. Liberato dopo due lunghi anni, sono tornato a casa, irriconoscibile da quanto ero dimagrito, ma col pensiero che un po’ di cure e un po’ di coccole sarei tornato quello di prima. Non fu così, mia moglie era diversa da come me l’ero immaginata durante gli anni di prigionia, o forse ero cambiato io.
Io volevo un figlio e questo non arrivava (col senno di poi, mi chiedo perché non abbia mai voluto sapere se la sterilità fosse sua o mia). Per ultimo mi ha preso la gelosia, il tarlo più grave per una coppia, che mi ha portato a maltrattarla e tradirla, forse per farmene una ragione. Lei mi ha sopportato paziente fino alla fine e quando mi sono trasferito in questo mondo mi aspettavo che mi si dimenticasse… Ma scusate se parlo sempre io, quando ero nel vostro mondo ho potuto studiare e in quei tempi, bastava questo per avere la parola per primi. Ora, Tristezza, di qualcosa anche tu:
“Me ciamavo Gioia e iero moglie e mamma. Ma ora me ciamo Tristezza come ca gavì sentio. Scuseme se mi parlo in dialeto, iero na contadina e go imparà a mala pena a lezare e scrivare. Ne podì imaginare quante ghe no pasà, go visù la guera, l’aluvion, la miseria e anca go patio la fame. Adeso me fermo de parlar e ciapo un po de fià. Voialtri scoltè cosa el ve dise el me amigo”.

“Scusami se lo preciso, ma anche se non abbiamo dallo stesso livello culturale, qua siamo tutti uguali e poi, non so il perché, ma Tristezza mi fa tanta compagnia”:
“Adeso ca go ripreso fià, ve fago altre confidenze. Come ve go dito in te la ciacolada de prima, la vita par mi le stada dura. Dopo sposa, go vu otto fioi, quanti pianti, quanto laoro, quanta fadiga… Me son disemntegà de dirve che i fioi iera quatro masci e quatro femene. Quando iè cresù i sa sposà in sete e un mascio le restà in casa con noantri veci. Per mancanza de laoro ie tutti emigrà in Piemonte e Lombardia. Ciapà dal laoro e dalle preocupazion ca ghe vegnea da le so fameie, i sa dismentegà de mi, de so padre e de so fradelo: i se fasea vedar de ciaro e sempre de presia. So fradelo  el sa sentio abandonà e l’ha ciapà al vizio de imbriagarse e le vegnu in sto mondo prima de mi. Me marì le sempre stà più forte de mi e l’è ancora tra de voi, ma al tribola tanto, l’è solo e penso che presto i lo meterà in casa di ricovero”.
“Ora ca sen presentà ne ghè più bisogno de parlar sempra. Sta matina go fato un rimprevero a Rimpianto”:
“Parchè a te si sempre de malumore?”
“Non dovevo trattare mia moglie come l’ho trattata. Vedi, viene a trovarmi quasi tutti i giorni, mi porta fiori freschi e non contenta, provvede ad alimentare la luce con ceri e lumini perché sa che detesto il buio. Se poi vado col pensiero e rammento che il 2 Novembre è la festa nazionale di questo mondo, e lei mi porterà i più bei Crisantemi del quartiere e i ceri più luminosi, mi sento preso dal rimorso e dal rimpianto. Oggi, però, anche tu non sei tanto allegra, ti vedo più pensierosa del solito. Cosa ti prende”?
“Cosa me ciapa! Come te dito ti, per la nostra festa, i vegnerà a trovarmi in tanti, i me portarà fiori de tutte le specie parchè i dise che i crisantemi no i è più de moda.  I fa tanto bacan, i è tuti inmisià, grandi, done, putleti, i parla uno più forte dell’altro. I na mina leto che qua se dorme in Pace. E po’ lo voto saere, ne li capiso più i ha ciapà al vizio de parlar un italian moderno che a mi el me pare più Inglese e Francese, e mi a resto a scoltarer coma na imbabia. Quando po a vedo al me vecio, là in disparte da solo, lu al tase sempre con cal vestito sempre più grande e un corpo sempre più picolo, me vien na tristeza. In te sti dì i vien chi e po par un anno a ne vedo più nesun. Al me vecio l’è tanto malandà e po al se vergogna a vegnerme trovare, anche parchè quando gerimo zovani, ghe disevo “Parchè me metito sempre in zinta?” Lù al me rispondea che i fioi i sarà al baston della nostra vecchiaia. Bel baston, come te vidi! Senti Rimpianto, cosa pensito dei cambiamenti de sti tempi”?
“Che cosa vuoi. Corrono sempre più forte e non hanno tempo di fermarsi. Perdonami, ma mi fanno tanta tristezza. La mia idea è questa, mi pare che i giovani abbiano paura di venire dalla nostra parte e poi prendono certe polverine e pasticche per sentirsi più vivi e invece sono ridotti peggio di noi. E poi avevo sempre sentito dire che il maschio è il sesso forte ed invece, questa mattina, per i viali ho incontrato tredici vedove, tre vedovi e solo due giovani. Spero non siano venuti per sbaglio. Oltre a venirti a trovare una volta all’anno, hai altre lamentele da fare ai tuoi parenti”?
“Sa ghe n’ho, sa ne vegnese cal poro omo che lori, me par, chi ciama “messo cimiteriale”, me restaria i fiori marzi per un anno sotto al naso, va ben ca ne sentemo più i odori ma insoma”!
“Ed io quando ascolto gli ospiti, che parlano di tangenti, di mafia, di torri abbattute da terroristi, sai che ti dico, sono contento di essermi trasferito qua. A proposito, hai visto in questi giorni quei due vecchietti che hanno pitturato l’edificio al centro del giardino, quello senza inquilini? Da come si muovevano lentamente mi fa credere che fossero dei pensionati, anche se il lavoro lascia a desiderare. Che dici, li perdoniamo”?
“Mi digo de si. Ma ne perdono c’le tre ciacolone chi è vegnù a ‘iutarghe a  ulire. Le litigava, le parlava tanto forte che le ga dismisià anche i morti. Scusa la me scapà, e po’ penso c’le gà fato poco de belo”.
“I giorni sono trascorsi tanto in fretta che non mi sembra vero che oggi sia il 2 Novembre, la nostra festa”.
“Rimpianto, gheto visto quanta zente va davanti al fabricato, quelo chi ga da al bianc”?
“Si, ho notato. Sono curioso e vado a vedere”.
“Son curiosa anche mi, andemo. Guarda, guarda. Adeso me ricordo. L’è la cesa. E l’omo vestio difarente, l’è al prete. Quando a iera all’altro mondo, iero sempre indafarà con ‘sti fioi e ne ghea tempo a stare drio a tutto”.
“Io, al contrario di mia moglie, non andavo d’accordo con i preti”.
“Tasi! Ca sentem cosa cal dise”.
“Oggi noi siamo ospiti in questo giardino, siamo nella casa del Signore. Lui è sempre presente, anche se qualcuno dubita, e ci esorta  fare del bene in questo mondo, per evitare che quando saremo trasferiti per sempre in questo giardino, non abbiamo la triste sorte dei dannati sempre in preda alla tristezza e al rimpianto. Se invece ci procuriamo dei meriti, facendo del bene, il nostro soggiorno nel giardino sarà eternamente sereno e beato al cospetto di Dio.”
“Ora ho capito cosa mi sono perso. Ma mi consola che almeno a mia moglie, questo non succederà, con tutti i meriti acquistati nel fare del bene e nel sopportarmi”.
“Pa mi non poso più fare gnente. Ma da incò, vegnarò a pregare Dio parchè i me fioi, me marì e me neodi ne ghe toca, come mi, essere tristi per l’eternità”.
“Che stupidi siamo stati a non capire che questo è l’edificio più importante del giardino, Lo pensavo vuoto ed invece ospita il Padrone del Mondo”.


Trecenta, 2 Novembre 2001

Mamma cocca

Venne la primavera, tutte le coche erano in agitazione, ma non si sapeva il perché.
Passavano le belle giornate di sole a razzolare in cerca di becchime da mangiare.
Solo mamma cocca la più buona del gruppo, spesso si allontanava, per tornare poco dopo
cantando allegramente: coccodè, coccodè. Le sue compagne notando questi comportamenti
sussurravano, co, co, co,  quella è matta. Sempre più ”mamma cocca”, con  comportamento strano, si isolava dalle compagne quasi per tutto il giorno; si faceva vedere solo per poco tempo quando nonna Angi, con il granoturco nel grembiule tenuto a mo di sacco, distribuiva la razione di becchime giornaliera.

Di giorno in giorno “mamma cocca” diventava sempre più pallida: ciò era dovuto al fatto che stava covando le sue dieci uova nel nido che si era costruito in un buco del pagliaio, dove il sole non poteva arrivare. Di tutto questo lei non si preoccupava. Dopo un mese di sacrifici, un bel mattino le uova incominciarono a schiudersi: in poche ore nove batuffoli gialli uscirono dal guscio. “Mamma cocca” orgogliosa del risultato, divenne triste quando contando i pulcini si fermò a nove.
Preoccupata fece un po’ di conti: “Ma le uova non erano dieci, co, co, co”? Intanto i nuovi nati riempivano l’aria con il loro pio, pio allegro e gioioso.

E’ a questo punto che “mamma cocca” si accorse che l’ultimo uovo  faticava a schiudersi: allora con tutto il suo amore di mamma, con il becco piano, piano, fece sì che l’uovo si schiudesse, ma con stupore si accorse che il pulcino ultimo nato era di un colore grigio scuro. Non si perse d’animo e commentando il fatto pensò: “Anche questo è mio figlio”, e incominciò a coccolarlo. Dello stesso parere non erano invece i suoi fratelli, che incominciarono a prenderlo in giro: “Via sgorbio piccolo e grigio” e gli misero nome Fumino per via del suo colore. Il povero pulcino sempre lasciato in disparte soffriva tanto, solo “mamma coca” lo prendeva fra le sue ali e lo rincuorava. I giorni passavano, la situazione per Fumino  si faceva sempre più triste. Un giorno, mentre era più triste del solito, fu colpito dal suono allegro delle campane, che annunciavano l’arrivo della principessa delle favole. Come per incanto si realizzò una magia, una carrozza si fermò davanti al cortile e dalla quale scese una bambina tutta vestita di azzurro.

Al vedere questo, tutti i pulcini corsero a curiosare. Allora la bambina si presento dicendo: “Sono la fata Pollina e sono venuta a scegliere uno di voi per portarlo nel mio giardino”. Al sentire questo tutti i pulcini si misero in posa, Narciso il più vispo della covata pensò tra sé e sé “prenderà me che sono il più bello e il più furbo” dandosi da fare con le buone e con le cattive per scoraggiare i suoi fratelli. Vedendo questo, Pollina si fece pensierosa, e si accorse che in disparte con “mamma cocca” c’era Fumino, con un ceno lo fece avvicinare e scattando raggiante disse ad alta voce: “Prendo quello, perché nel mio giardino c’è posto solo per i più buoni”.

Fumino timidamente corse verso Pollina che, come lo sfiorò con la sua bacchetta magica gli fece diventare le piume candide come la neve.
“Mamma cocca” vedendo questo, non poté fare altro che asciugarsi le lacrime dalla gioia e presa dalla commozione si allontanò per non vedere partire il  figlio prediletto.