Il Francese

L’esperienza c’insegna che in tutti i confitti e guerre, i furbi, quelli che tirano i fili, di solito restano a galla, sia che vincano, sia che perdano! Se vincono, sono decorati e osannati, se perdono, si nascondono per il tempo necessario ad organizzarsi e in seguito rientrare in gioco, riciclati. Chi subisce le conseguenze è l’idealista, quello che crede e combatte per una battaglia ideale, che lui crede giusta anche se è sbagliata.
Però, sia che vinca, sia che perda, torna ad essere un numero, un nulla.
Le varie repubbliche lo insegnano; la prima, la seconda, se ci sarà, anche la terza. Le repubbliche passano ma chi tira i fili restano sempre quelli. Ciò serve per capire il fatto che sto per raccontare.
Anche noi bambini di sei, sette anni avvertivamo un’aria nuova e, come usciti da un incubo, giocavamo con spirito nuovo. Poteva essere il 26 o 27 aprile 1945 e da poche ore era finita la seconda guerra mondiale (per noi italiani, mentre in Giappone finì in agosto di quell’anno).
Il gioco che andava per la maggiore era il nascondino(chi non l’ha giocato)?
Nell’euforia del gioco ci accorgemmo, a poca distanza da casa nostra, della presenza di un uomo a noi sconosciuto, che stava seduto in riva ad un fossato, all’ombra di un boschetto d’acacie in fiore. Aveva la barba lunga ed era pallido e impaurito.
S’intuiva che, alla macchia com’era, doveva essere digiuno da qualche giorno.
Quando ci ebbe visti, tirò un sospiro di sollievo, aveva paura degli adulti non dei bambini.
Bastò guardarlo negli occhi per capire che non ci avrebbe fatto del male.
Con accento francese chiese del pane e da bere, in un baleno entusiasti d’essergli utili, gli procurammo pane, formaggio e acqua, erano tempi magri ma per chi ha fame non fa differenza.
Si mise a mangiare con avidità. Quello che ci colpi era il suo atteggiamento, si guardava sempre attorno, era impaurito, sembrava aspettasse qualcuno.
Fu in questo momento che dalla strada vicina sbucò un ometto insignificante, che con piglio arrogante portava un fucile a tracolla più grande di lui, tanto che gli batteva sui garretti e una pistola in mano, senza perdere tempo ordinò al francese di alzarsi e di seguirlo.
Dalla paura il povero uomo, l’ultimo boccone le andò di traverso.
La scena si presentava a dir poco, triste. Il nostro amico con la sua figura alta e robusta camminava davanti, il nanerottolo dietro e ad ogni tre passi, aiutandosi con un salto, dava un calcio nel sedere al malcapitato, pronunciando parole per noi bambini incomprensibili.
Comprensibile era invece lo sguardo che il nostro amico ci rivolse. I suoi occhi apparivano pieni di lacrime e col suo accento francese ci disse: “Grazie bambini… ora è lui il più forte”.
Solo più avanti negli anni, compresi la scena di cui ero stato il testimone.
Il francese era un repubblichino, il nanerottolo, un partigiano dell’ultima ora.
Queste cose i bambini non le capiscono, sono cose da grandi; nella nostra innocenza però noi lo abbiamo ricordato come amico, il più debole in quel momento.
Il vincitore non ha mai e poi mai, il permesso di umiliare il vinto… dovrebbe essere così, ma…
P.S. Negli anni 50, il francese con la famiglia emigrò al nord, e di loro non ho saputo più nulla.
Il nanerottolo con la sua arroganza fece momentaneamente fortuna, ma poi è finito miseramente.

Trecenta 2002   

Fede gastronomica

Conoscevo la fede religiosa, calcistica, del denaro,
ora ho scoperto che c’è anche una fede misteriosa.
A maggio molti vanno ai fioretti,
solo perché alla fine servono buoni manicaretti.
Qualcuno durante la recita del  rosario,
spera che alla fine il menù sia vario.
Nel frattempo si distrae e recita una prece,
che più o meno è di questa specie.
Vi prego Maria e Gesù,
a me la roba dolce proprio non va giù.
Ascoltami Gesù Bambino,
io preferisco un bel panino.
Che sia ben ripieno di affettato,
di salame, prosciutto, o altro insaccato.
Se poi invece di uno sono due o più,
ti ringrazio fin d’ora buon Gesù.
Scusami se ti ho scomodato,
la mia è la fede del palato.
E’ una fede che ho fin da bambino,
già che ci sei provvedi un buon bicchiere di vino.
Se poi vuoi farmi un altro omaggio.
Fa durare cento giorni il mese di maggio.
A chi mi dice che serve per fare aggregazione,
io dico: “Ci sono altri modi, oltre l’indigestione”.
Replicano: “La maggioranza che partecipa è gente devota”,
ma la minoranza rischia la gotta.    
In più ritengo sia una casa buffa,
unire la preghiera e il mangiare a uffa.
Inoltre non è bello mettere le famiglie in competizione,
non per chi ha pregato meglio, ma chi ha provocato più indigestione.
E’ vero, anche alle nozze di Cana si è festeggiato!
E Gesù,  i pani e pesci ha moltiplicato!
Però sono passati alla storia come miracoli necessari,
non certamente erano eventi culinari.
Imploriamo invece da Maria Santissima i suoi doni,
per diventare migliori e più buoni.
Impariamo a fare del bene e pregare,
e perché no, anche  a digiunare.

La fede

Si  fa presto dire ho fede,
 più difficile è esserne veramente in possesso.
Se è adesione di mente e anima ad una verità,
rivelata, sopranaturale, non discutibile?
Quando è che mi avvicino a capire queste verità?
C’è bisogno di lunghi discorsi? O di esempi?
I discorsi vanno lasciati ai studiosi.
Allora, proviamo seguire la seconda strada.
Come si fa negare Dio sotto un cielo stellato!
Quando in primavera vedi i prati in fiore!
Alla nascita di un bimbo!
Alla perfezione del corpo umano!
E perché no, di fronte alla morte!
Allora chi non ha fede non ha speranza.
Chi non ha fede non ha carità.
Chi non ha fede non può pregare per i suoi defunti.
E se di fronte a loro e per loro,
non può pregare, le resta solo la disperazione.
Gli animali non hanno fede, se mai
 si fidano solo per sopravivere materialmente.
Se il mite e il malvagio hanno lo stesso destino?
Se la vittima e il carnefice hanno medesima sorte?
Se il ladro e l’onesto ricevono lo stesso premio?
Che differenza ci sarebbe fra l’uomo
ragionevole e gli animali istintivi?
Chi crede, ama, chi crede spera e vive due volte.
Dio, mio ti ringrazio di avermi dato la fede.

Eclisse di luna

Ti osservavo al tuo nascere, eri allegra e rubiconda,
sembravi la faccia di un bambino figlio di contadini d’altri tempi.
Ti invidiavo, dimenticandomi di quello che ti aspettava.
Le tue gote si sarebbero oscurate e saresti diventata rossa
e triste come chi piange e non sa darsi pace.
Quando poi ti ho vista come una palla scura mi sono detto:
“Ora è dello stesso stato d’animo di un povero mortale nel travaglio”.
Per un momento mi sembrò sentire la tua voce:
“Cosa  ho fatto di male per meritare d’essere privata della luce del mio sole”.
Le stelle ti brillavano tutto attorno, solo tu eri triste e inconsolabile.
Le tue implorazioni  sortirono l’effetto sperato.
Prima timidamente, poi sempre più, hai  ripreso il tuo chiarore,
d’incanto sei diventata più lucente e radiosa di prima.
Tanto che ho capito: “Ora sta ringraziando il suo Creatore”.
Strizzandomi l’occhio mi hai fatto capire: “Stolto non vedi cosa ti succederebbe
se pensasti di fare a meno della luce del tuo Dio.
Se quando nei momenti tristi tutto attorno a te si fa buio
Fa uno sforzo, guarda il cielo, solo così troverai la soluzione
e la luce tornerà a splendere nella tua vita”.

Il dottore e il contadino

Intelligenti  si nasce, l’istruzione si acquisisse,
tutto questo è di una logicità inconfondibile.
Però per molto tempo, forse anche oggi, si confondeva l’intelligenza
come una dote esclusiva dei ricchi o dei potenti.
Chi nasceva da una famiglia ricca per diritto era un toccato da Dio.
Tanto è vero che anche oggi si dice: Che un imbecille ricco è un signore,
chi è un imbecille povero é un  imbecille.
Era consuetudine che il figlio del Medico diventasse Medico,
il figlio dell’Avvocato, Avvocato,
dell’Ingegnere, Ingegnere e cosi via.
Non importava se era  ignorante o un  incapace, cosi dovevano andare le cose.
Spesso ti trovavi davanti persone frustrate, incapaci e fallite.
Anche oggi si possono vedere persone mediocri, diventare Re, Conti, Baroni.
Il colmo del ridicolo è che i loro sudditi ne vanno orgogliosi,
di che cosa poi, ma!   
Ognuno ha quello che si merita.
Ricordo con pena e rabbia una discussione avuta con un Medico,
lui mi ha chiesto se era vero che mio figlio si fosse iscritto all’Università.
Alla mia risposta affermativa, (a dire il vero orgogliosa), mi disse:
“Sa che sarà destinato ad essere un disoccupato”!
La mia risposta fu: “E’ meglio un laureato intelligente disoccupato,
che un Dottore ignorante occupato,
vedrà che in qualche modo con il suo ingegno se la caverà”.
“Se poi lei pensa che io ho la capacità e la volontà di lavorare e mio figlio è dotato,
di che cosa devo preoccuparmi”.
Capito di avere sbagliato a malincuore si è scusato.
La mia esperienza mi fa dire: “Cosa c’è di più soddisfacente di quando ti  accorgi  di aver capito cose che altre persone non capiscono”?
Senza la presunzione di essere più bravo ma per la soddisfazione personale?
Poi l’intelligente se è tale, non ostenta mai la sua bravura,
ma si rende sempre disponibile se richiesto, non è spilorcio, è misurato,
non alza mai la voce e pretende la ragione se sa di averla.
Di fronte all’arroganza si tira in dietro, non per vigliaccheria, ma aspetta
che l’arrogante si calmi,
e poi con pazienza cerca di aiutarlo a ragionare, se anche questo non serve,
capisce di trovarsi davanti non solo un arrogante ma anche un cafone, e lascia perdere.
L’intelligente gode di tutto quello che è bello: Musica, arte, natura,
non si arrende mai è sempre alla ricerca, esperimenta, in una parola: “Vive”.
E’ apprezzato da chi non è invidioso.
Invidiato da chi ha dei limiti ma sa valutarlo.
Disprezzato solo da chi si crede furbo, ma che in sostanza è una nullità.
A suffragare la mia tese mi viene in aiuto la Bibbia.
Dal Libro della Sapienza. Cap. 6, vers. 12-19:
“Splendida e incorruttibile è la sapienza, facilmente è conosciuta da quanti la amano
e si lascia trovare da quanti la cercano.     
Per farsi riconoscere essa previene quanti la desiderano.
Chi si leva  di buon mattino non dovrà faticare, perché la troverà seduta alla sua porta.
Pensare ad essa è perfetta intelligenza, e chi veglia per lei sarà presto senza pena;
perché essa va in cerca di quanti sono degni di lei,
nelle strade appare loro con benevolenza e va loro incontro in ogni loro progetto.
Suo principio è un sincero desiderio di istruzione, la cura dell’istruzione è amore;
l’amore è osservanza delle leggi;
il rispetto delle leggi è garanzia di incorruttibilità e l’incorruttibilità
ci fa stare vicini a Dio”…     

Il donatore AVIS

Tutti gli anni leggi sui giornali
titoli a caratteri cubitali.
Anche quest’anno il Capo dello Stato
i Cavalieri del lavoro ha nominato.
Ogni premiato, è normale,
ha avuto un merito speciale.
In terza pagina c’è un articoletto
che riguarda un incidente maledetto.
Per fortuna il malcapitato
con varie trasfusioni i medici hanno salvato.
Distratto caro il mio lettore,
per quel sangue c’è stato un donatore!
Un donatore che gratuitamente
ha dato il suo sangue non chiedendo niente.
(Qualche Cavaliere, non tutti, il sangue ha succhiato
per arrivare al punto dov’è arrivato).
Ai donatori dell’A.V.I.S. questo non impressiona,
loro lo sanno che hanno fatto un’opera buona.
Quand’è sul lettino del Centro trasfusionale
per lui donare è una cosa normale;
non si chiede a chi, il sangue è destinato:
lui è contento di averlo donato
se a un bianco, a un negro o mulatto,
gli basta sapere che a salvare una vita ha collaborato.
Sono certo che se Dante riscrivesse la sua opera immortale,
in Paradiso al donatore riserverebbe un posto eccezionale.
Non voglio esser cattivo, ma certi signoroni
all’Inferno li metterebbe, nei suoi gironi.
Donare senza pretese e gratuitamente
Fa sorridere anche Dio Onnipotente.
Allora, se agli uomini il mio gesto passa inosservato,
(non so quanto e come) ma sicuramente sarò premiato.

Pubblicata  su LA SETTIMANA settimanale cattolico diocesano.

Ricorrenza di tutti i fedeli defunti

Voi in vita li avete molto amati,
e certamente non vi spiegherete perché
vi ricordano solo in questo giorno.
Fanno a gara per adornarvi le tombe,
ma no non rispettano il vostro riposare in pace.
Dal parlottare che si ode nei cimiteri,
invece di un luogo sacro sembra un mercato.
Si sono dimenticati che a voi
servono preghiere e suffragi,
e gradireste essere ricordati più spesso.
Ricordarsi di voi una volta all’anno
serve solo mettere a tacere la coscienza.
Oggi sarebbe opportuno ricordare l’episodio
del ricco Epulone, che dall’inferno esigeva,
invano,di fare avvisare i propri fratelli,  
dei pericoli che correvano non comportandosi bene.
Solo chi agisce come il povero Lazzaro
accumula tesori per il Paradiso.
Fermiamoci a riflettere e impariamo
a pregare e rispettare i nostri defunti.

Il crocefisso votivo

Non so quante persone, transitando per via A. Azzi, al bivio per via Cuoche, ha visto quel bel Crocifisso: spero tante.
Pochi però conoscono il perché si trova in quel luogo. Il motivo causa, è stato un fatto climatico disastroso. Nel luglio 1966 e nel successivo1967, la zona è stata colpita da due grosse grandinate, che hanno distrutto i raccolti dal 90 al 100%. L’economia del nostro paese era, ed è prevalentemente agricola.
Sia i proprietari che gli operai agricoli vedevano sparire le loro fonti di guadagno, per la zona voleva dire carestia, il disagio e lo scoraggiamento fu notevole.
In questi casi, chi ha fede in Dio, non può fare a meno di chiederli aiuto. Così le bambine di Trecenta consigliate e incoraggiate dell’allora parroco Don Armando, (sacerdote mai dimenticato dai trecentani) con solenne cerimonia collocarono ben visibile il Crocifisso votivo che ancora oggi si trova in quel luogo a ricordare il triste evento, e invitare quelli che lo vedono a confidare nella protezione del Signore. Significativa è la dedica che si può leggere e qui riportata:

A  FOLGORE E TEMPESTATE
LIBERA  NOS  DOMINE
Le bambine di Trecenta  Settembre 1967

Credere, fede, speranza e carità

Tutte le feste al tempio mentre pregavo Iddio,
pensavo che fare il bene fosse un dovere mio.
Feci del bene un giorno per non mostrarmi ingrato,
Ma chi l’ha ricevuto non me l’ha dimostrato.
Quando l’uomo è nei guai  chiede aiuto,
poi passata la bufera si dimentica tutto.
Per chi fa il bene è brutto,
se per giunta le tolgono il saluto.
Uno che la sapeva lunga diceva: “Chi riceve il bene,
ricordare chi l’ha aiutato non conviene,
se si dimentica di chi gli ha dato una mano,
non deve niente a nessuno”.
Questo è dir poco un comportamento disumano.
So per esperienza, che questo è normale,
in un mondo dove tutto è superficiale.
A questo punto dubbioso è scoraggiato,
di tirare i remi in barca fui tentato.
Ma a rassicurarmi in fine ci ha pensato Iddio,
che mi ha detto:
“Continua a fare il bene il resto ci penso Io.                                                                           

Lo spunto per questa riflessione mi è venuto                                                                                       oltre da una mia convinzione, anche da un cartello
che ho letto all’entrata di un negozio
molti anni fa e diceva cosi:
“Tutte le feste al tempio mentre pregavo Iddio,
pensavo che fare credenza fosse interesse mio.
Feci credenza un giorno, per non mostrarmi ingrato,
perdetti l’avventore e più non fui pagato.
Per giuramento stabile e di lunga permanenza,
amici miei credetelo non faccio più credenza”.

La trovata era ottima ma è stata inutile e tardiva
perché dopo poco tempo il negoziante è fallito.

Cosa strana

In questi giorni è successa una cosa strana,
ho pensato: “Sarà un dono della Befana”.
A Natale e Fine Anno ci sentiamo più buoni,
ed è usanza scambiarci i doni.
Anche i politici, a dire il vero, si fanno onore,
mandano gli auguri al proprio elettore.
Però il tizio che li riceve rimane sconcertato,
e dichiara: “Io per lui non ho votato”.
E’ vero, quando lo incontravo per la via,
lo salutavo con cortesia.
Forse questo è servito come abbaglio,
però, pensare che ho votato per lui, è stato uno sbaglio.
La morale della favola è evidente,
chi veramente lo ha votato, non riceve niente.
Al contrario di chi con un sorriso lo ha imbrogliato,
e per la sua astuzia è stato gratificato.
Il consiglio che si può dare è uno solo,
caro politico risparmia il francobollo.

P. S. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.