Trecenta orsù rallegrati

Trecenta orsù, rallegrati
degli avi il giuro è sciolto:
per sempre il nero crimine
é vendicato e tolto.
Dell’ardimento ignobile,
degli scomparsi eroi,
l’orma fatale a sperdere
tardi arrivammo noi.
Ma senza colpa e vergini
Del vile disonor:
Viva San Giorgio,
stirpe d’eroi,
evviva il simbolo
da vita a fe’.
Dall’alto guardaci, sian figli tuoi,
vogliamo vivere vicino a Te,
vogliamo vivere vicino a Te.

I tre amici, una fiaba

C’era una volta: così cominciano tutte le favole. Ma la nostra no! In un posto imprecisato di questo mondo vivono due bellissimi bambini. Lei è bionda e un po’ cicciotella, con i capelli lunghi sembra una fatina. Lui è più piccolo ed, essendo fratellini, è biondo anche lui, ma i suoi sono ricci.
Come tutti i bambini, sono vivaci, curiosi ed intelligenti. Lei si chiama Michelle e si arrabbia con un suo vicino di casa, smemorato, che la chiama “Scelli” confondendo i due nomi.
Siete proprio curiosi! Volete sapere anche il nome di lui: si chiama Thomas. Come compagna di giochi hanno una cagnolina cicciotella anche lei, che risponde al nome di Lilly. Vederli è uno spasso, quando poi li senti cinguettare sembrano tanti uccellini che si affacciano al nido in attesa di spiccare il volo.
Il mattino che si sono recati per la prima volta all’asilo, erano allegri ed entusiasti. Gli avevano detto che avrebbero trovato tanti nuovi amici e l’amicizia, per i bambini è una cosa sacra. Tutto andava per il meglio fin quando un giorno tornarono a casa avviliti e sconsolati, perché un loro compagno li aveva chiamati “nomadi”. Mi ero dimenticato di dire che i due  bambini sono figli di due squisite persone d’origine nomade e le persone poco sensibili vedono la cosa come una colpa non pensando che siamo tutti figli di Dio.
Accertato che il mondo è cattivo, i due bambini chiesero una magia e  assieme alla loro amichetta furono accontentati. Salirono sopra una nuvoletta creata apposta per loro ed incominciarono a volare per il cielo. Non potete immaginare quante cose belle incominciarono a vedere: incontrarono angioletti, stelline, astri, ma anche bambini abbandonati dalle loro madri, gattini e cagnolini lasciati per strada dai loro padroni (di questo soffriva anche Lilly, ricordando di essere stata anch’essa abbandonata, ma per fortuna è stata raccolta ed amorevolmente adottata da quattro mani amiche).
Stupefatti nel vedere tutto ciò, i tre amici spaziali si domandavano quale fosse la causa di tale assemblea. Dopo uno scossone ed una virata, la nuvoletta si trovava dinanzi ad una nuvola più grande, di colore azzurro/rosato. Non credono ai loro occhi: seduto al centro, c’è un bambino diverso dagli altri per bellezza e fascino, attorniato da altri bambini neri, gialli, bianchi ed anche di pelle rossa, solo di uno di questi bambini si conosce il nome “Giacomo” l’amico della Lilly e delle “coche”, tutti con i loro cagnolini, gattini, coniglietti, leoncini e piccoli canguri. Sì, perché questi bambini arrivano da tutto il mondo.
Incuriositi, i due bambini volevano sapere chi fosse questo bambino così strano. Lui rispose: “Io sono Gesù Bambino e questi che vedete sono i miei amici, che sulla terra sono stati trattati male come voi. Ora non piangete più, perché la gente dalle vostre parti non è cattiva, ma solo ignorante. Ritornate a casa dai vostri genitori, non ascoltate più le parole cattive che vi dicono. E quando siete tristi, pensate che in cielo c’è un bambino che vi vuole bene”.
Tornati a casa, i tre amici scesero dalla loro nuvoletta e raccontarono a tutti, la loro bella avventura.


Trecenta, 2001

pubblicato  su EXPERIENTIA  del  2003

I trapassati, ovvero tristessa e rimpianto

La nostra storia, pur essendo fantastica, ha il pregio di far meditare. Siamo giunti alla fine d’ottobre e fra qualche giorno da voi sarà celebrata la festa in nostro onore. Sappiamo per esperienza come vanno le cose: le nostre residenze saranno invase da esseri viventi, chiacchieroni poco educati.
Chi vi sussurra questa storia sono due anime annoiate. Abbiamo fatto richiesta e siamo stati accontentati, volevamo passeggiare nel cortile con giardino della nostra nuova dimora. Come sapete, le stanze di questo condominio sono strette e, di tanto in tanto, sentiamo l’esigenza di uscire per respirare aria pura, non viziata.
Ora mi presento: mi chiamavo Orgoglio, ora mi chiamano Rimpianto. Di problemi ne ho avuto tanti. Mi sono sposato in giovane età, che ancora stavo studiando. Allo scoppio della guerra, ho dovuto interrompere e partire per il fronte. Sono stato catturato e deportato in Germania, dove sono sopravvissuto agli stenti solo grazie al pensiero della mia giovane moglie e dei miei genitori. Liberato dopo due lunghi anni, sono tornato a casa, irriconoscibile da quanto ero dimagrito, ma col pensiero che un po’ di cure e un po’ di coccole sarei tornato quello di prima. Non fu così, mia moglie era diversa da come me l’ero immaginata durante gli anni di prigionia, o forse ero cambiato io.
Io volevo un figlio e questo non arrivava (col senno di poi, mi chiedo perché non abbia mai voluto sapere se la sterilità fosse sua o mia). Per ultimo mi ha preso la gelosia, il tarlo più grave per una coppia, che mi ha portato a maltrattarla e tradirla, forse per farmene una ragione. Lei mi ha sopportato paziente fino alla fine e quando mi sono trasferito in questo mondo mi aspettavo che mi si dimenticasse… Ma scusate se parlo sempre io, quando ero nel vostro mondo ho potuto studiare e in quei tempi, bastava questo per avere la parola per primi. Ora, Tristezza, di qualcosa anche tu:
“Me ciamavo Gioia e iero moglie e mamma. Ma ora me ciamo Tristezza come ca gavì sentio. Scuseme se mi parlo in dialeto, iero na contadina e go imparà a mala pena a lezare e scrivare. Ne podì imaginare quante ghe no pasà, go visù la guera, l’aluvion, la miseria e anca go patio la fame. Adeso me fermo de parlar e ciapo un po de fià. Voialtri scoltè cosa el ve dise el me amigo”.

“Scusami se lo preciso, ma anche se non abbiamo dallo stesso livello culturale, qua siamo tutti uguali e poi, non so il perché, ma Tristezza mi fa tanta compagnia”:
“Adeso ca go ripreso fià, ve fago altre confidenze. Come ve go dito in te la ciacolada de prima, la vita par mi le stada dura. Dopo sposa, go vu otto fioi, quanti pianti, quanto laoro, quanta fadiga… Me son disemntegà de dirve che i fioi iera quatro masci e quatro femene. Quando iè cresù i sa sposà in sete e un mascio le restà in casa con noantri veci. Per mancanza de laoro ie tutti emigrà in Piemonte e Lombardia. Ciapà dal laoro e dalle preocupazion ca ghe vegnea da le so fameie, i sa dismentegà de mi, de so padre e de so fradelo: i se fasea vedar de ciaro e sempre de presia. So fradelo  el sa sentio abandonà e l’ha ciapà al vizio de imbriagarse e le vegnu in sto mondo prima de mi. Me marì le sempre stà più forte de mi e l’è ancora tra de voi, ma al tribola tanto, l’è solo e penso che presto i lo meterà in casa di ricovero”.
“Ora ca sen presentà ne ghè più bisogno de parlar sempra. Sta matina go fato un rimprevero a Rimpianto”:
“Parchè a te si sempre de malumore?”
“Non dovevo trattare mia moglie come l’ho trattata. Vedi, viene a trovarmi quasi tutti i giorni, mi porta fiori freschi e non contenta, provvede ad alimentare la luce con ceri e lumini perché sa che detesto il buio. Se poi vado col pensiero e rammento che il 2 Novembre è la festa nazionale di questo mondo, e lei mi porterà i più bei Crisantemi del quartiere e i ceri più luminosi, mi sento preso dal rimorso e dal rimpianto. Oggi, però, anche tu non sei tanto allegra, ti vedo più pensierosa del solito. Cosa ti prende”?
“Cosa me ciapa! Come te dito ti, per la nostra festa, i vegnerà a trovarmi in tanti, i me portarà fiori de tutte le specie parchè i dise che i crisantemi no i è più de moda.  I fa tanto bacan, i è tuti inmisià, grandi, done, putleti, i parla uno più forte dell’altro. I na mina leto che qua se dorme in Pace. E po’ lo voto saere, ne li capiso più i ha ciapà al vizio de parlar un italian moderno che a mi el me pare più Inglese e Francese, e mi a resto a scoltarer coma na imbabia. Quando po a vedo al me vecio, là in disparte da solo, lu al tase sempre con cal vestito sempre più grande e un corpo sempre più picolo, me vien na tristeza. In te sti dì i vien chi e po par un anno a ne vedo più nesun. Al me vecio l’è tanto malandà e po al se vergogna a vegnerme trovare, anche parchè quando gerimo zovani, ghe disevo “Parchè me metito sempre in zinta?” Lù al me rispondea che i fioi i sarà al baston della nostra vecchiaia. Bel baston, come te vidi! Senti Rimpianto, cosa pensito dei cambiamenti de sti tempi”?
“Che cosa vuoi. Corrono sempre più forte e non hanno tempo di fermarsi. Perdonami, ma mi fanno tanta tristezza. La mia idea è questa, mi pare che i giovani abbiano paura di venire dalla nostra parte e poi prendono certe polverine e pasticche per sentirsi più vivi e invece sono ridotti peggio di noi. E poi avevo sempre sentito dire che il maschio è il sesso forte ed invece, questa mattina, per i viali ho incontrato tredici vedove, tre vedovi e solo due giovani. Spero non siano venuti per sbaglio. Oltre a venirti a trovare una volta all’anno, hai altre lamentele da fare ai tuoi parenti”?
“Sa ghe n’ho, sa ne vegnese cal poro omo che lori, me par, chi ciama “messo cimiteriale”, me restaria i fiori marzi per un anno sotto al naso, va ben ca ne sentemo più i odori ma insoma”!
“Ed io quando ascolto gli ospiti, che parlano di tangenti, di mafia, di torri abbattute da terroristi, sai che ti dico, sono contento di essermi trasferito qua. A proposito, hai visto in questi giorni quei due vecchietti che hanno pitturato l’edificio al centro del giardino, quello senza inquilini? Da come si muovevano lentamente mi fa credere che fossero dei pensionati, anche se il lavoro lascia a desiderare. Che dici, li perdoniamo”?
“Mi digo de si. Ma ne perdono c’le tre ciacolone chi è vegnù a ‘iutarghe a  ulire. Le litigava, le parlava tanto forte che le ga dismisià anche i morti. Scusa la me scapà, e po’ penso c’le gà fato poco de belo”.
“I giorni sono trascorsi tanto in fretta che non mi sembra vero che oggi sia il 2 Novembre, la nostra festa”.
“Rimpianto, gheto visto quanta zente va davanti al fabricato, quelo chi ga da al bianc”?
“Si, ho notato. Sono curioso e vado a vedere”.
“Son curiosa anche mi, andemo. Guarda, guarda. Adeso me ricordo. L’è la cesa. E l’omo vestio difarente, l’è al prete. Quando a iera all’altro mondo, iero sempre indafarà con ‘sti fioi e ne ghea tempo a stare drio a tutto”.
“Io, al contrario di mia moglie, non andavo d’accordo con i preti”.
“Tasi! Ca sentem cosa cal dise”.
“Oggi noi siamo ospiti in questo giardino, siamo nella casa del Signore. Lui è sempre presente, anche se qualcuno dubita, e ci esorta  fare del bene in questo mondo, per evitare che quando saremo trasferiti per sempre in questo giardino, non abbiamo la triste sorte dei dannati sempre in preda alla tristezza e al rimpianto. Se invece ci procuriamo dei meriti, facendo del bene, il nostro soggiorno nel giardino sarà eternamente sereno e beato al cospetto di Dio.”
“Ora ho capito cosa mi sono perso. Ma mi consola che almeno a mia moglie, questo non succederà, con tutti i meriti acquistati nel fare del bene e nel sopportarmi”.
“Pa mi non poso più fare gnente. Ma da incò, vegnarò a pregare Dio parchè i me fioi, me marì e me neodi ne ghe toca, come mi, essere tristi per l’eternità”.
“Che stupidi siamo stati a non capire che questo è l’edificio più importante del giardino, Lo pensavo vuoto ed invece ospita il Padrone del Mondo”.


Trecenta, 2 Novembre 2001

Tomezzoli don Paolo

Nato a Ronco all’Adige (Verona) il 4 ottobre 1930, sin da bambino si era trasferito con la famiglia a Bergantino. Fu ordinato sacerdote a Rovigo, nella chiesa del Seminario, dal Vescovo Guido Maria Mazzocco il 26 giugno 1955. Fu cappellano a Trecenta fino il 1957.
Ho conosciuto tutti i cappellani, ed ho sempre avuto con loro un buon rapporto, con don Paolo in modo particolare. Ci stimavamo reciprocamente,  ricordo che  mentre era cappellano  a Trecenta fui colpito da una grossa influenza, con complicazioni,ed è in questi
casi che si vedono i veri amici, lui era uno di quelli. Le sue visite frequenti mi erano di conforto, lui trovava sempre le parole adatte per sollevare il mio morale in difficoltà. La cosa scatenò la fantasia di certe pettegole mie vicine di casa, al punto che davano per certa una mia prossima dipartita. Evidentemente non erano in grado di valutare cosa vuol dire amicizia.
Di salute cagionevole, le crisi si manifestarono sempre più frequenti già quando era Arciprete a Pincara. Trasferito a Melara la situazione si aggravò al punto che dovette ritirarsi Prima  alla Casa del Clero di Rovigo e poi all’Opera San. Antonio di Sarmeola di Padova, dove morì il 21dicembre 1997. Ora è sepolto nella tomba dei sacerdoti di Bergantino.

pubblicato su LA  VOCE  DI  S. GIORGIO, settimanale  parrocchiale  di TRECENTA

A tavola non si invecchia

Dopo un incontro di preghiera non c'è niente di male,
se fa seguito una riunione conviviale.
Anche Gesù dopo una giornata a far miracoli e predicare,
si riuniva con gli Apostoli a mangiare.
Così è stato e allora così sia,
si  fa per stare in compagnia.
Ci si accontenta di pinzin e salame,
preparati dalle mani d'oro delle nostre dame.
Don Ferdinando lo vedi contento e se mangia troppo,
gli altri assicura: farà digiuno il giorno dopo.
Tonino presidente e organizzatore,
mangia di gusto ed è sempre di buon umore.
Giorgio uomo scaltro e di mestiere,
non per niente ha studiato da ragioniere.
Venicio non riesce mai a star seduto,
tuttavia dal piatto fa sparire tutto.
la Rosina mi domando, come farà?
Ad essere sempre dappertutto alla sua età.
Vito e la Teresa sono una coppia affiata,
non ci credo se dicono di mangiare solo insalata.
Ci fa compagnia Emma ed il marito Dottore,
di continuo allegro e buon mangiatore.
L'Antonietta è una signorina dalla Fratta,
e noi volentieri l'abbiamo adottata,
non senza una parte di  interesse, e dico il perché,
quando veniamo in canonica ci offre sempre il caffè.
Tutti in coro all'unanimità si ammette,
siamo un gruppo di buone forchette.
Chi scrive è un'impiccione, la cosa è sicura,
che volete mai, è un vizio di natura.
L'importante e non può far che  bene,
è il passare una serata allegra…tutti insieme.

Sonetto alla puntualità

E’ sicuro che la puntualità,
ogni uomo quando nasce nel sangue già ce l’ha.
A chi manca, già da bambino se osservi attentamente,
arrivare in ritardo non le importa niente.
Poco male, senti commentare,
crescendo in orario imparerà ad arrivare.
Passano gli anni, ma il testardo,
continuerà ad arrivare sempre in ritardo.
Non si accorge che è un brutto modo di fare,
e sempre da chi lo aspetta si fa rimproverare.
Non c’è niente da fare,non vuole imparare la lezione,
e non si accorge che è segno di poca educazione.
Non sa come è tranquillo chi per tempo è arrivato,
al contrario di lui che arriva sempre trafelato.
Se poi arrivi in ritardo ad una conferenza,
oltre a non capire il discorso, agli altri fai perdere la pazienza.
Se lo scopo è quello di essere notato,
ti sbagli: sarai solo criticato.
A tutti  almeno una volta è successo ritardare,
ma scusandosi si è sentito perdonare.
Al contrario del ritardatario incallito,
che quando arriva è segato a dito.
Stai attento a non perdere la partita,
ed arrivare in ritardo all’appuntamento con la vita.

San Valentino

Anche i matusa come noi, da S. Valentino,
si sentono tornare il cuore da ragazzino.
Il bel sentimento che parte dal cuore,
è rivolto sicuramente alle nostre signore.
Durante l’anno ci fanno incavolare,
oggi però le dobbiamo perdonare.
I meriti e le colpe si è sempre sentito dire,
a metà si devono spartire.
Perché loro ribadiranno: “Con tutto quello che ci fanno sopportare”…
Siamo sinceri, se non ci fossero le dovremmo inventare.
Oggi, giorno di S. Valentino,
facciamo loro un brindisi, non solo col vino.
Non vergogniamoci, appelliamoci  al nostro cuore,
facciamo gli auguri e diamo un bacio alle nostre signore.

Trecenta, 14 – 02 – 03  

Santo Natale come sei incompreso

Perché Santo Natale
Sei trattato così male?
Da sempre ci ricordi la nascita di Gesù Bambino,
la quale ha avvicinato l’umanità al divino.
Sento la nostalgia dei Natali della mia giovinezza,
pieni di trepidazione, gioia e bellezza.
Eri visto come il dono di Dio a noi mortali,
ora Ti hanno ridotto dispensatore di futilità e di regali.
Non trovi più le famiglie unite,
le vedi stanche, depresse e avvilite.
Cercano sollievo nei beni materiali,
trascurando quelli spirituali.
Non vedono la luce Divina che viene dalla tua capanna,
e si lasciano abbagliare da quella effimera e mondana.
E così si trovano sempre più impantanate,
deluse, confuse  e sfiduciate.
I governanti per aggravare la situazione
parlano di pace, ma preparano la guerra,   
il flagello più orrendo che si possa trovare sulla terra.
La soluzione ci sarebbe, ce la indica il Divino,
la buona novella portata da Gesù Bambino.
“Pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Questa è l’unica salvezza per l’umanità…

San Silvestro

E’ fine d’anno s’impone un bilancio,
il risultato dipende da come hai agito,
se hai vissuto con amore e slancio
o se invece appisolato hai dormito.

Mi ha detto il mio Angelo Custode,
mettendomi una mano sulla spalla:
“Non devi lavarti le mani come Erode,
datti da fare perché il mondo resti a galla.

Non fare lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia
e vedi quello che succede di disumano,
quante guerre, quanto odio e quanta rabbia,
non puoi dire ,si arrangino, e stare con le mani in mano.

Hai donato una parte del tuo tempo libero,
senza stare tanto lì a pensare
a chi aveva bisogno e al misero
o sei stato a braccia conserte ad oziare.

Quando fai del bene, non aspettarti un compenso,
fallo gratuitamente con amore:
farlo per interesse non ha senso
essere altruista fa bene al cuore.

Se ti sei comportato bene come ti ho suggerito”,
concluse perentorio l’Angelo beato,
“il tuo comportamento al Buon Dio sarà gradito,
altrimenti il tuo bilancio sarà bocciato”.

A voi di buona volontà, che vi date tanto da fare,
senza risparmiare le vostre forze,
solo un grande grazie vi dovete aspettare,
un grazie ed un augurio forte forte.

San Giorgio e Beato Luigi Guanella, Patroni di Trecenta

San  Giorgio  e  Beato  Luigi  Guanella, Patroni di Trecenta

Senti Luigi, come mai ti vedo così corrucciato,
dovresti essere contento. Oggi, 11 febbraio, a Trecenta si fa festa.
Per quello che ha visto l’angelo che ho inviato,
e subito su due piedi faccio protesta.

Io avevo detto, date da mangiare ai poveri e gli orfanelli.
Sai cosa mi ha riferito il messaggero?
Che oggi ha visto a pranzo il Sindaco, dottori e preti paffutelli.
Capisco sono creature del buon Dio anche loro, questo è vero.

Però sono altri che al mio cuore danno pena.
Non i commensali di oggi, per carità
Sono quelli che fanno fatica a mettere il pranzo con la cena.
Gli altri hanno solo il problema che è l’obesità.

Ma anche a te Giorgio, le cose non vano bene a quanto pare.
Hai ragione, la mia casa, che paura, però ora sono contento
Si sono accorti che stava per crollare,
l’hanno salvata all’ultimo momento.

Ora il povero responsabile, a lavoro quasi ultimato,
trovare i soldi ha un bel daffare.
Le lire in euro hanno cambiato,
le entrate si è visto dimezzare.

Ho sentito i vostri discorsi, sono S. Pietro il portinaio del Paradiso
Tu Beato Luigi e tu San Giorgio fate il miracolo
Non con il broncio ma con il sorriso
e fate superare ai vostri protetti questo ostacolo.

Ai tuoi, Beato Luigi, che trovino la strada da te indicata
Che ai poveri e diseredati riservino il loro amore
E tu San Giorgio, rinnova la tua protezione beata
e dì che val la pena di spendere per la casa di nostro Signore

Se con buona volontà e devozione,
pentiti, metteranno a profitto la lezione
Con i due santi patroni anche la Vergine Beata sarà contenta
Dei poveri mortali di Trecenta.

Trecenta, 11 febbraio 2002