I trapassati, ovvero tristessa e rimpianto

La nostra storia, pur essendo fantastica, ha il pregio di far meditare. Siamo giunti alla fine d’ottobre e fra qualche giorno da voi sarà celebrata la festa in nostro onore. Sappiamo per esperienza come vanno le cose: le nostre residenze saranno invase da esseri viventi, chiacchieroni poco educati.
Chi vi sussurra questa storia sono due anime annoiate. Abbiamo fatto richiesta e siamo stati accontentati, volevamo passeggiare nel cortile con giardino della nostra nuova dimora. Come sapete, le stanze di questo condominio sono strette e, di tanto in tanto, sentiamo l’esigenza di uscire per respirare aria pura, non viziata.
Ora mi presento: mi chiamavo Orgoglio, ora mi chiamano Rimpianto. Di problemi ne ho avuto tanti. Mi sono sposato in giovane età, che ancora stavo studiando. Allo scoppio della guerra, ho dovuto interrompere e partire per il fronte. Sono stato catturato e deportato in Germania, dove sono sopravvissuto agli stenti solo grazie al pensiero della mia giovane moglie e dei miei genitori. Liberato dopo due lunghi anni, sono tornato a casa, irriconoscibile da quanto ero dimagrito, ma col pensiero che un po’ di cure e un po’ di coccole sarei tornato quello di prima. Non fu così, mia moglie era diversa da come me l’ero immaginata durante gli anni di prigionia, o forse ero cambiato io.
Io volevo un figlio e questo non arrivava (col senno di poi, mi chiedo perché non abbia mai voluto sapere se la sterilità fosse sua o mia). Per ultimo mi ha preso la gelosia, il tarlo più grave per una coppia, che mi ha portato a maltrattarla e tradirla, forse per farmene una ragione. Lei mi ha sopportato paziente fino alla fine e quando mi sono trasferito in questo mondo mi aspettavo che mi si dimenticasse… Ma scusate se parlo sempre io, quando ero nel vostro mondo ho potuto studiare e in quei tempi, bastava questo per avere la parola per primi. Ora, Tristezza, di qualcosa anche tu:
“Me ciamavo Gioia e iero moglie e mamma. Ma ora me ciamo Tristezza come ca gavì sentio. Scuseme se mi parlo in dialeto, iero na contadina e go imparà a mala pena a lezare e scrivare. Ne podì imaginare quante ghe no pasà, go visù la guera, l’aluvion, la miseria e anca go patio la fame. Adeso me fermo de parlar e ciapo un po de fià. Voialtri scoltè cosa el ve dise el me amigo”.

“Scusami se lo preciso, ma anche se non abbiamo dallo stesso livello culturale, qua siamo tutti uguali e poi, non so il perché, ma Tristezza mi fa tanta compagnia”:
“Adeso ca go ripreso fià, ve fago altre confidenze. Come ve go dito in te la ciacolada de prima, la vita par mi le stada dura. Dopo sposa, go vu otto fioi, quanti pianti, quanto laoro, quanta fadiga… Me son disemntegà de dirve che i fioi iera quatro masci e quatro femene. Quando iè cresù i sa sposà in sete e un mascio le restà in casa con noantri veci. Per mancanza de laoro ie tutti emigrà in Piemonte e Lombardia. Ciapà dal laoro e dalle preocupazion ca ghe vegnea da le so fameie, i sa dismentegà de mi, de so padre e de so fradelo: i se fasea vedar de ciaro e sempre de presia. So fradelo  el sa sentio abandonà e l’ha ciapà al vizio de imbriagarse e le vegnu in sto mondo prima de mi. Me marì le sempre stà più forte de mi e l’è ancora tra de voi, ma al tribola tanto, l’è solo e penso che presto i lo meterà in casa di ricovero”.
“Ora ca sen presentà ne ghè più bisogno de parlar sempra. Sta matina go fato un rimprevero a Rimpianto”:
“Parchè a te si sempre de malumore?”
“Non dovevo trattare mia moglie come l’ho trattata. Vedi, viene a trovarmi quasi tutti i giorni, mi porta fiori freschi e non contenta, provvede ad alimentare la luce con ceri e lumini perché sa che detesto il buio. Se poi vado col pensiero e rammento che il 2 Novembre è la festa nazionale di questo mondo, e lei mi porterà i più bei Crisantemi del quartiere e i ceri più luminosi, mi sento preso dal rimorso e dal rimpianto. Oggi, però, anche tu non sei tanto allegra, ti vedo più pensierosa del solito. Cosa ti prende”?
“Cosa me ciapa! Come te dito ti, per la nostra festa, i vegnerà a trovarmi in tanti, i me portarà fiori de tutte le specie parchè i dise che i crisantemi no i è più de moda.  I fa tanto bacan, i è tuti inmisià, grandi, done, putleti, i parla uno più forte dell’altro. I na mina leto che qua se dorme in Pace. E po’ lo voto saere, ne li capiso più i ha ciapà al vizio de parlar un italian moderno che a mi el me pare più Inglese e Francese, e mi a resto a scoltarer coma na imbabia. Quando po a vedo al me vecio, là in disparte da solo, lu al tase sempre con cal vestito sempre più grande e un corpo sempre più picolo, me vien na tristeza. In te sti dì i vien chi e po par un anno a ne vedo più nesun. Al me vecio l’è tanto malandà e po al se vergogna a vegnerme trovare, anche parchè quando gerimo zovani, ghe disevo “Parchè me metito sempre in zinta?” Lù al me rispondea che i fioi i sarà al baston della nostra vecchiaia. Bel baston, come te vidi! Senti Rimpianto, cosa pensito dei cambiamenti de sti tempi”?
“Che cosa vuoi. Corrono sempre più forte e non hanno tempo di fermarsi. Perdonami, ma mi fanno tanta tristezza. La mia idea è questa, mi pare che i giovani abbiano paura di venire dalla nostra parte e poi prendono certe polverine e pasticche per sentirsi più vivi e invece sono ridotti peggio di noi. E poi avevo sempre sentito dire che il maschio è il sesso forte ed invece, questa mattina, per i viali ho incontrato tredici vedove, tre vedovi e solo due giovani. Spero non siano venuti per sbaglio. Oltre a venirti a trovare una volta all’anno, hai altre lamentele da fare ai tuoi parenti”?
“Sa ghe n’ho, sa ne vegnese cal poro omo che lori, me par, chi ciama “messo cimiteriale”, me restaria i fiori marzi per un anno sotto al naso, va ben ca ne sentemo più i odori ma insoma”!
“Ed io quando ascolto gli ospiti, che parlano di tangenti, di mafia, di torri abbattute da terroristi, sai che ti dico, sono contento di essermi trasferito qua. A proposito, hai visto in questi giorni quei due vecchietti che hanno pitturato l’edificio al centro del giardino, quello senza inquilini? Da come si muovevano lentamente mi fa credere che fossero dei pensionati, anche se il lavoro lascia a desiderare. Che dici, li perdoniamo”?
“Mi digo de si. Ma ne perdono c’le tre ciacolone chi è vegnù a ‘iutarghe a  ulire. Le litigava, le parlava tanto forte che le ga dismisià anche i morti. Scusa la me scapà, e po’ penso c’le gà fato poco de belo”.
“I giorni sono trascorsi tanto in fretta che non mi sembra vero che oggi sia il 2 Novembre, la nostra festa”.
“Rimpianto, gheto visto quanta zente va davanti al fabricato, quelo chi ga da al bianc”?
“Si, ho notato. Sono curioso e vado a vedere”.
“Son curiosa anche mi, andemo. Guarda, guarda. Adeso me ricordo. L’è la cesa. E l’omo vestio difarente, l’è al prete. Quando a iera all’altro mondo, iero sempre indafarà con ‘sti fioi e ne ghea tempo a stare drio a tutto”.
“Io, al contrario di mia moglie, non andavo d’accordo con i preti”.
“Tasi! Ca sentem cosa cal dise”.
“Oggi noi siamo ospiti in questo giardino, siamo nella casa del Signore. Lui è sempre presente, anche se qualcuno dubita, e ci esorta  fare del bene in questo mondo, per evitare che quando saremo trasferiti per sempre in questo giardino, non abbiamo la triste sorte dei dannati sempre in preda alla tristezza e al rimpianto. Se invece ci procuriamo dei meriti, facendo del bene, il nostro soggiorno nel giardino sarà eternamente sereno e beato al cospetto di Dio.”
“Ora ho capito cosa mi sono perso. Ma mi consola che almeno a mia moglie, questo non succederà, con tutti i meriti acquistati nel fare del bene e nel sopportarmi”.
“Pa mi non poso più fare gnente. Ma da incò, vegnarò a pregare Dio parchè i me fioi, me marì e me neodi ne ghe toca, come mi, essere tristi per l’eternità”.
“Che stupidi siamo stati a non capire che questo è l’edificio più importante del giardino, Lo pensavo vuoto ed invece ospita il Padrone del Mondo”.


Trecenta, 2 Novembre 2001

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