Maria, eri presente: quando ho pronunciato il mio sì davanti all’Altare. Tu protagonista alle nozze di Cana. Maria, eri presente: in sala parto quando mia moglie mi ha dato un figlio. Tu la mamma delle mamme nella grotta di Betlemme. Maria, eri presente: nella mia povera casa quando ho deciso di rendermi indipendente. Tu stella del focolare nella casa di Nazareth. Maria, eri presente: nella corsia di ospedale quando ero ammalato per consolami. Tu la consolazione degli afflitti. Maria, eri presente: quando sono stato colpito negli affetti più cari, la morte dei genitori, dei fratelli, degli amici. Tu con lo sguardo addolorato come sul Calvario mi hai rincuorato. Maria, sei presente: nei momenti in cui mi trovo impotente di fronte alle cattiverie del mondo. Tu mi esorti a confidare in Tuo Figlio e non disperare. Maria, sei presente: nei miei momenti di gioia. Tu partecipi con il Tuo sorriso Beato. Maria, sei presente: quando ti prego all’alba, mezzogiorno, sera, notte, con il Padre, il Figlio e Spirito Santo. Maria ti supplico: sii presente anche nel giorno che Dio Vorrà chiamarmi nel suo regno. Ti ringrazio Maria, Tu l’Immacolata sempre presente. Amen.
Maria bontà infinita
Maria bontà infinita, pur essendo figlia hai generato la vita. Ti si confà il titolo di vergine, senza sminuire quello di madre. Le madri terrene donano la vita generando, e se fosse necessario darebbero la loro per i figli. Tu Madre celeste le hai superate tutte. Ci hai donato il Redentore a Betlemme, e con lui, una parte di te e morta sul Golgota. Lo hai fatto non per il Tuo tornaconto, ma per agevolare l’opera di Tuo Figlio. Non contenta, hai accettato di diventare nostra madre. Sotto la Croce si sono sentite queste parole: “Madre ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre”. Giovanni in quel momento ci ha rappresentati tutti, anche se noi indegni tuoi figli spesso lo ignoriamo. Grave è la nostra condotta quando Ti ringhiamo. Quando a nostra volta non doniamo la vita. Quante mamme sopprimono la vita di figli che portano in grembo. Quanti padri vedendo questo, si voltano dall’altra parte. Maria, il movimento per la vita ha bisogno del Tuo aiuto, salva questi tuoi poveri figli. Fa che noi Ti aiutiamo a salvaci. Fa che le tue immagini non restino solo simboli, ma ci facciano capire la tua grandezza. Sarebbe imperdonabile per noi, vanificare l’opera Tua e di Tuo figlio. Per le nostre mancanze meriteremmo il castigo, ma Tu la madre delle madri questo non lo permetti. Allora in coro Ti diciamo, grazie Maria Madre nostra. Amen.
Mamma cocca
Venne la primavera, tutte le coche erano in agitazione, ma non si sapeva il perché.
Passavano le belle giornate di sole a razzolare in cerca di becchime da mangiare.
Solo mamma cocca la più buona del gruppo, spesso si allontanava, per tornare poco dopo
cantando allegramente: coccodè, coccodè. Le sue compagne notando questi comportamenti
sussurravano, co, co, co, quella è matta. Sempre più ”mamma cocca”, con comportamento strano, si isolava dalle compagne quasi per tutto il giorno; si faceva vedere solo per poco tempo quando nonna Angi, con il granoturco nel grembiule tenuto a mo di sacco, distribuiva la razione di becchime giornaliera.
Di giorno in giorno “mamma cocca” diventava sempre più pallida: ciò era dovuto al fatto che stava covando le sue dieci uova nel nido che si era costruito in un buco del pagliaio, dove il sole non poteva arrivare. Di tutto questo lei non si preoccupava. Dopo un mese di sacrifici, un bel mattino le uova incominciarono a schiudersi: in poche ore nove batuffoli gialli uscirono dal guscio. “Mamma cocca” orgogliosa del risultato, divenne triste quando contando i pulcini si fermò a nove.
Preoccupata fece un po’ di conti: “Ma le uova non erano dieci, co, co, co”? Intanto i nuovi nati riempivano l’aria con il loro pio, pio allegro e gioioso.
E’ a questo punto che “mamma cocca” si accorse che l’ultimo uovo faticava a schiudersi: allora con tutto il suo amore di mamma, con il becco piano, piano, fece sì che l’uovo si schiudesse, ma con stupore si accorse che il pulcino ultimo nato era di un colore grigio scuro. Non si perse d’animo e commentando il fatto pensò: “Anche questo è mio figlio”, e incominciò a coccolarlo. Dello stesso parere non erano invece i suoi fratelli, che incominciarono a prenderlo in giro: “Via sgorbio piccolo e grigio” e gli misero nome Fumino per via del suo colore. Il povero pulcino sempre lasciato in disparte soffriva tanto, solo “mamma coca” lo prendeva fra le sue ali e lo rincuorava. I giorni passavano, la situazione per Fumino si faceva sempre più triste. Un giorno, mentre era più triste del solito, fu colpito dal suono allegro delle campane, che annunciavano l’arrivo della principessa delle favole. Come per incanto si realizzò una magia, una carrozza si fermò davanti al cortile e dalla quale scese una bambina tutta vestita di azzurro.
Al vedere questo, tutti i pulcini corsero a curiosare. Allora la bambina si presento dicendo: “Sono la fata Pollina e sono venuta a scegliere uno di voi per portarlo nel mio giardino”. Al sentire questo tutti i pulcini si misero in posa, Narciso il più vispo della covata pensò tra sé e sé “prenderà me che sono il più bello e il più furbo” dandosi da fare con le buone e con le cattive per scoraggiare i suoi fratelli. Vedendo questo, Pollina si fece pensierosa, e si accorse che in disparte con “mamma cocca” c’era Fumino, con un ceno lo fece avvicinare e scattando raggiante disse ad alta voce: “Prendo quello, perché nel mio giardino c’è posto solo per i più buoni”.
Fumino timidamente corse verso Pollina che, come lo sfiorò con la sua bacchetta magica gli fece diventare le piume candide come la neve.
“Mamma cocca” vedendo questo, non poté fare altro che asciugarsi le lacrime dalla gioia e presa dalla commozione si allontanò per non vedere partire il figlio prediletto.
La Madonna di Loreto
In una contrada del mio paese, c’è una chiesetta,
dedicata alla Vergine Benedetta.
Sono contento, molto contento, lo ripeto,
la Vergine Maria è la Madonna di Loreto.
Per chi ha fatto il militare nell’aeronautica, come me,
una protettrice più cara e bella non c’è.
Se la guardi bene, Lei e il Suo Bambino, hanno la faccia scura.
Perché amici, quando vediamo un Africano prendiamo paura?
Forse che, come voi ed io,
loro non sono figli di Dio.
Dio a Loreto e a Czestochowa non ha avuto paura,
se la sua mamma ha la faccia scura.
Non siamo meschini, non giudichiamo la gente dal colore della pelle.
Siamo tutti sotto la protezione di quel Dio che ha creato il cielo e le stelle.
Il 10 Dicembre fa festa tutta la borgata,
in onore della Madre più amata.
Con i nostri difetti siamo contenti di avere la protezione,
della Madonna di Loreto avere la sua benedizione.
Trecenta, 8 novembre 2001
Madonna dei Cuori
Nei miei ricordi c’è una chiesetta,
dedicata alla Vergine benedetta.
Lasciare la casa dove sono nato,
tanto dolore mi ha arrecato.
Ma dalla nuova casa si vedeva un capitello,
il panorama che si presentava era veramente bello.
Specialmente a maggio mese dei fiori,
il fiore più bello era la Madonna dei Cuori.
Tutte le Domeniche era celebrata la S. Messa,
di non mai mancare feci la promessa.
In ginocchio la Madonna devotamente pregavo,
per la riuscita del mio matrimonio imploravo.
Quando un anno dopo ebbi la notizia che sarei diventato padre,
un grido mi venne spontaneo “Ti ringrazio Vergine Madre”.
Il 25 aprile si celebra una festa a Lei dedicata,
per ringraziare ancora una volta la Madonna Immacolata.
Nel 1945 dalla catastrofe ci ha preservato,
anche se non lo meritiamo, rivolgici ancora un volta il tuo sguardo beato.
Gli uomini ancora una volta sono impazziti,
solo con la guerra vogliono risolvere i conflitti.
Tuo figlio morendo per noi in croce ci ha insegnato,
che un modo pacifico caparbiamente va trovato.
Perché la vera pace viene solo dal cuore,
le bombe e le armi portano solo lutti e dolore.
Vergine Maria intercedi presso Tuo figlio, per carità?
Affinché salvi questa sgangherata umanità.
Amen
Macerie
Macerie L’occhio vede, e la ragione fa proprio Il grido della vedova, il singhiozzo dell’anziano imbrigliato. Il cinguettio del bambino che chiede alla mamma: “Perché non torniamo a casa nostra?” Macerie “Vedi”, risponde la mamma: “Se nelle favole il lupo è cattivo nella vita l’uomo-lupo è spietato si impossessa della tana altrui non per bisogno ma perché è famelico.” Macerie Esalano odore di puzza dovuta al passo felpato dello strozzino che si impossessa del sudore del povero. Macerie La vedova, l’anziano e il bambino trovano consolazione nella loro onestà. Il mannaro sta bruciando all’inferno e vede le macerie delle su opere, vorrebbe essere perdonato ma la sua coppa zuccherata l’ ha già bevuta, ora assapora l’amaro fiele per l’eternità. Miserie, Travestito da pecora vorrebbe mettere in guardia i suoi lupacchiotti, ma dal fondo del calice li vede sbranarsi, nel dividere la preda. Il troppo rumore li intontisce il rumore è quello del crollo e restano solo … Macerie Trecenta 28/02/2002
Lucchiari Monsignor Graziano
Nato a Buso il 27 luglio 1889, fu ordinato sacerdote il 10 agosto 1914.
E’ stato vicario a Santa Sofia di Lendinara, per qualche tempo, vice direttore del Collegio “Angelo Custode”, di nuovo vicario economo a Villadose e poi arciprete a Villanova del Ghebbo. Nel 1933 venne nominato Arciprete e Vicario foraneo a Trecenta, e vi rimase fino al 1954.
I non più giovani, lo ricordano con benevolenza per la sua sobrietà e bontà d’animo, anche se all’apparenza sembrava burbero.
Era più quello che dava di quello che chiedeva. Condivise con i suoi parrocchiani due momenti tragici: la guerra 1940-45 e l’alluvione causata dalla rottura degli argini del Po nel 1951, prodigandosi per alleviare le inevitabili sofferenza del suo gregge.
Fu ferito alla gola da una scheggia durante la guerra 1915 –18, mentre era cappellano militare, che le causo difficoltà nel parlare.
Uomo temprato, si distinse una notte di maggio del 1948; quando chiamato al letto di un ragazzo moribondo ferito in un tumulto di piazza, (era in corso uno sciopero generale) nonostante il pericolo, non esitò ad affrontare la folla inferocita,e con passo sicuro e incurante del rischio, attraversò tutti il paese. Il suo comportamento influenzò favorevolmente la folla , tanto che la collera si tramuto in applauso.
Morì a Cavazzana il 22 febbraio 1956, amò i Trecentani al punto di volere essere sepolto nel nostro cimitero di Trecenta.
pubblicato su LA VOCE DI S. GIORGIO, settimanale parrocchiale di TRECENTA
Lettera di Natale 2001
Cari amici, sono un angioletto in volo, come compagno di crociera ho un bambino molto speciale che mi ha fatto compagnia per cinque mesi e mi ha detto “Io atterro il 25 Dicembre e visto che mi sei simpatico come tutti gli angioletti del mondo ed ho il privilegio di avere un Padre molto influente chiedimi quello che desideri ed Io in tempo reale trasmetterò le tue richieste al suo ufficio, sicuro che ti esaudirà.”
Da angioletto di carattere non mi faccio pregare e quindi Ti chiedo: “Serenità, tranquillità, pazienza e salute per mia mamma e mio papà. Per i nonni, oltre a questo, chiedo che si diano calmatina”.
Ore mi goto il tempo che mi resta prima di atterrare, qui nel mio mondo angelico, anche perché da quello che ho sentito dal mio Amico che vi conosce bene dalle vostre parti non siete troppo tranquilli.
Caro Gesù Bambino, oggi che scendi sulla Terra, porta ancora una volta la pace a quei pochi uomini di buona volontà e fa capire a quelli che questa volontà non ce l’hanno di pensarci e cambiare.
So che voi mi avete visto, anch’io vi conosco ma non so che viso abbiate, sicuramente sarà bello. In attesa vi faccio i migliori auguri di Buon Natale.
Il vostro Cherubino
Trecenta, Natale 2001
Lettera a Giovanni Paolo II
Com’è triste la quaresima che stai vivendo.
Non Ti hanno ascoltato, e si sono incamminati
verso la catastrofe.
Tu imploravi: “Non stancatevi di trattare, ragionate pregate il Dio della pace,
cercate una via pacifica, la guerra non risole niente, porta solo lutti e distruzioni”.
I Tuoi interlocutori si sono dimostrati: sordi, cocciuti, fermi nei loro propositi di giustizieri.
D’ accordo, di ragioni ne hanno, ma sono i mezzi per farle rispettare che Ti addolorano.
Parlano di guerra preventiva; ma guerra è.
Parlano di bombe intelligenti;ma bombe sono.
Come si può pensare che una bomba lanciata colpisca il cattivo e risparmi il buono.
Parlano di ristabilire un ordine con un disordine.
Di ricostruire dopo avere distrutto.
Non pensano ai morti innocenti ai feriti, a chi perde la casa, alle mamme che perdono i figli.
Non Ti viene il dubbio che sotto, sotto non ci sia l’interesse, il petrolio, il potere.
Per le loro gesta passeranno alla storia, ma con quale tributo di sangue e di dolore.
Tu invece novello Cristo, Ti sarai ritirato in preghiera e avrai sicuramente pianto.
Penso però che il dolore più grosso Te lo abbiano arrecato quelli che si professano cristiani,
che con l’alibi che i dittatori vanno combattuti (e sono d’accordo, ma non con i mezzi che impiegano) si riempiono la bocca che questa guerra è giusta; è una bestemmia.
Condivido il Tuo dolore, e con Te prego per chi patisce, perché Dio li aiuti, e anche per
quelli che ne sono la causa, perché si ravvedano e almeno chiedano perdono.
Con affetto
Il tuo amico Guido.
Invito a pranzo
Questa l’è na storia poco bela, senti,
me par de sentir dire “Le te capita tute a ti.”.
Ierino quatro operai e sen stà invità ad un pranzo aziendale,
‘en dito “Voto vèdar ca nevega anca sa sen a carnoale”,
parchè saevimo da chi era offerta la porcheta,
lu a ghe piasea comandare a bacheta.
Ierimo bei, a sen vestio da festa,
ma subito la giornata se presenta funesta:
la parona della locanda, Pia di nome e di fato,
la se dise “I stà tratandove come el me gato
quando cal fa le bize con la me gatina
subito lo sero in catina.
So par sicuro che a tavola con loro, i paroni, ne ve vole in compagnia,
ho preparà par valtri in stireria.”
Furibondi a sen da su tute le furie, podì imaginare,
e al capo azienda a sen fato spiegare.
Al capo i ga fato dire i tiranni: non sarà mai,
che i paroni i vaga a tavola con gli operai.
Dito e fato sem messo d’accordo,
e ghen dito al capo c’lè un tordo.
Gho dito mi, par tutti “Se invito un ospite a casa mia,
non lo metto a magnare in stireria”
Senza dire altro e in fretta,
se andà a casa nostra a magnar fasoi e ghen lasà la so porchetta.
La nostra amica Pia la sa riferio “Gnente a ghi perso
perché anche a loro la porcheta la ghe andà par traverso.
Le stà ne bega par tutto il pranzo tra i veci e i zoani imprenditori
A ne servio gnanche l’amaro per digerir ai nostri signori”
Eravamo poveri ma con tanta dignità
Lori i ghea i schei ma non iera signori, questa è la verità.
Trecenta, Ottobre 2001