Ottoboni Monsignor Armando

Nato a Canda il 16 Novembre 1924, fu ordinato presbitero nella chiesa del Seminario, dal Vescovo Guido Maria Mazzocco il 16 Luglio 1947.
Il suo ministero sacerdotale cominciò come cappellano a Trecenta, dove vi rimase fino al ‘51. Dopo tre anni trascorsi a Valliera, ritornò a Trecenta, prima come vicario economo e poi, nel 1955, come Arciprete.
Il fatto che sia tornato da Arciprete, dopo essere stato cappellano, sta a significare l’armonia che esisteva fra lui e i parrocchiani.
Questa amicizia durò anche quando fu chiamato come pastore nella parrocchia della Commenda a Rovigo, dedicata alla Madonna Pellegrina.
Ne fa fede il fatto che, quando vedeva un trecentano, nel limite del possibile, lasciava tutti per stare qualche tempo in conversazione con lui. La cosa è successa molte volte anche a me. Nonostante e qui lo devo precisare: quando ci siamo conosciuti non fu un amore, tra virgolette, a prima vista. Eravamo due caratteri forti. Tutto cambiò quando ci siamo capiti, e da quel momento siamo diventati buoni amici.
La sua permanenza a Trecenta è stata caratterizzata da due avvenimenti difficili. Le elezioni del 1948 (chi le ha vissute ricorderà la tensione di quei momenti) e poi l’esodo di trecentani dopo l’alluvione del 14 novembre 1951. Lo ricordo giovane prete impegnato nella lotta contro il comunismo nel 48. Di notte non esitava ad indossare la tuta per andare a fare l’attacchino (allora la propaganda elettorale si faceva esclusivamente con i manifesti sui muri; non di rado incontrando attacca brighe della parte avversaria con i quali, spesso si rasentava la rissa). L’altro momento duro, l’ha vissuto tornando e non trovando più i suoi cari ragazzi che con tanto amore aveva educato, perché la maggior parte di loro era dovuta emigrare per trovare lavoro.
Una cosa è certa: anche se lontano, li ha aiutati e confortati con la sua amicizia. Nel 1974 fu nominato Cappellano del Papa.
Morì improvvisamente il 9 Giugno 1998: la notizia si sparse in un baleno per il paese, procurando il sentito dolore per il caro amico scomparso. Lasciò nel testamento di essere sepolto nel nostro cimitero. Sulla sua tomba non mancano mai i fiori freschi messi lì da mani pietose. Sono sicuro che ora ci benedirà dal Paradiso.

pubblicato su LA  VOCE  DI  S. GIORGIO, settimanale  parrocchiale  di TRECENTA

L’osservatore maledetto

Sei un osservatore maledetto,
puntandomi il dito mi hanno detto.
Perché quando vedo che la situazione va in rovina,
prendo carta e penna e la cosa metto in rima.
Questa volta tocca ad un gruppo di donne intriganti,
che sembrano un gruppo di oche starnazzanti.
Vanno a gara di chi è più brava, chi sa più fare,
ma in concreto sanno solo litigare.
Dovrebbero agire con più discrezione,
ma non andando d’accordo fanno solo confusione.
Danno cattivo esempio, e questo è un guaio,
invece della casa canonica sembra un pollaio.
A questo punto occorrerebbe un provvedimento,
per mettere fine a tanto malcontento.
O si comportano in modo decoroso,
o si mandano tutte a casa di riposo.
Il mio giudizio non è esagerato,
e per questo un rimedio và trovato.
Chi scrive questo è presto detto,
è l’osservatore maledetto.

Origini della polenta

A Bagnolo i mette su al parolo.
In Berguarina i sdazza la farina.
A Tresenta i mena la polenta.
In Vallalta i la ribalta.
A Crosetta i la fetta.
A Badia i la da via.
A Canda i la da via con na stanga.
A Baruchella i la rustise sulla gradela.
A Zelo, Giazan, e Menà i la magna col bacalà.
Morale:
Adesso a sen tutti siori e la polenta,
le deventà na prelibatezza succulenta.
Par i nostri antenati chi condusea na vita agra,
la iera balsamo, anca sla ghe fasea venere la pelagra.

L’onorevole


L’onorevole anche se non merita è osannato,
non solo dalla plebe anche dal prelato.
E all’ora se gli ultimi saranno primi?
Tu ultimo abbi pazienza,
solo dopo morto, non dagli uomini ma da Dio avrai riconoscenza,
Perché come ha detto un saggio,
le opere buone, spesso si realizzano con le bugie dei politici
(e io dico non solo) e la carità dei poveri.
evidentemente oggi c’è ancora qualche credulone.

Ad ognuno il suo dio

Il dio del vilan l’è la cariola,
al so spirito sant le la badila.
La sira quand al vien a casa el ne cata nient da zena,
al s’tira in t’on canton e pol biastema.
“Come le stada, come le andada?”
La domanda la muier tuta sconsolada.
“Al paron al vol darme men de quel ca me son quadagnà,
e al sindacat a zonta al ma abandonà.
E par farghe rabia e dir la me rason
in malatia me met da bon.”
La muier rispose “Bravo furbo al me coion,
cusì lori i magna a crepa panza e ti gnanca un bocon.”                                                              
Tlo se, che i schei ie finii e adesso a sen senza,                                                                                
tanto che i ponteghi con le lagrime ai oci                                                                                                
 i vien fora dalla cardenza.
Porta e pazienza,e va a laorare caro al me poltron,
se no stasera te dago da magnare col baston.
Convinzete cle sempre sta cusi, e ne ghe gente da fare,
noantri doven tasere e laorare.

Giugno 1975

Ode al vino

Quando nella Sua opera il Creatore
mise il pane e il vino al posto d’onore,
tanto che quando sacrificò Suo Figlio per la nostra redenzione,
tramutò il pane e vino nel suo corpo per  evitarci una sicura dannazione.
Un fraticello paffuto e rubicondo, interrogato,
perché volesse tanto vino nel calice versato,
rispondeva: “Se penso che questo si tramuta nel sangue di Cristo, quanto è bello!
Senza sforzo ne berrei un caratello.”
Con queste mie argomentazioni, Buon Dio, non vorrei essere irriverente,
ma so che mi perdoni, Tu sei il Sommo Intelligente.
Qualcuno dirà: “Ma a questo, il vino piace assai.”
Solo un buon bicchiere a pasto e quando sono nei guai.
Per noi italiani è un vanto,
perché abbiamo Chianti, Barolo, Tocai e Vin Santo.
Scherzi a parte, questa è la questione,
come le donne, il vino va preso con moderazione.
Però, mentre le donne i guai te li procuran, a quanto pare,
un buon bicchiere di vino te li fa passare.
Forse è vero che bacco, tabacco e Venere
riduce l’uomo in cenere,
ed è una soluzione poco gradita,
però è meglio finire in cenere che privarsi di gustar la vita.
Quando vedo questa gente pasteggiare bevendo coca, birra ed altre brodaglie,
un colpo di dolore allo stomaco mi coglie.
In vino veritas, si dice di questa bevanda eterna,
la consiglierei anche a chi ci governa.
Perché quello che ci promettono in campagna elettorale già si sa,
non corrisponde quasi mai a verità.
A questo punto si conviene,
un bel brindisi ci sta bene.
Questo bicchier di vino di storto legno
più se ne beve più si perde l’ingegno,
con l’acqua si innaffia le piante e i fiori,
evviva la compagnia di questi signori.

Nascita di un figlio

Era una grigia domenica di novembre, in quei giorni scadeva il termine della gravidanza di mia moglie.
Se il rispetto per lei è sempre stato alto, in questo momento ha raggiunto il massimo.
Spinto da un’attenzione nuova, spiavo ogni suo cambiamento.
Non mi è voluto tanto, vedendola  preoccupata e bianca in viso, (lei sempre di un colorito roseo) capire che il momento  tanto sperato era venuto.
E’ bastato un cenno per fare partire tutte le operazioni necessarie.
La valigia era pronta, nonostante tutto chi non era pronto ero io, o meglio non immaginavo che una notizia così mi procurasse un certo scombussolamento.
Riavutomi mi incoraggiai dicendomi:”Vedrai, tutto andrà bene, via si parte”.
Raccolsi  tutte le mie forze sia mentali che fisiche e mi misi all’opera.
Rintracciai il Medico di famiglia avvisandolo della situazione, lui essendo in quel momento
in visita d’urgenza mi consigliò di portare la futura mamma all’Ospedale, e lui si sarebbe attivato nel sbrigare le pratiche necessari per il ricovero.
Un mio amico premurosamente si mise a disposizione con la sua auto, (in quei tempi non se ne vedevano tante in giro).
A nostro arrivo trovammo il personale infermieristico che ci attendeva,
(avvisati dal nostro Medico).
Allora le cose andavano così, oggi, di domenica è meglio non ammalarsi.
Da questo momento incominciò l’attesa.
Rassicurato che tutto andava bene, non restava che aspettare.
Dicono ed io confermo, che in questi momenti sente le doglie anche il padre.
Come si può capire per questo lasso di tempo il mio ricordo è confuso.
Lei mi pareva, serena e fiduciosa a letto, io teso, camminavo su e giù per il corridoio.
E’ mezzanotte e la futura mamma è portata in sala parto, passano pochi minuti,
un vagito, una voce: “E PADRE DI UN BEL MASCHIETTO”.
La tensione si sciolse, non sapevo se piangere se ridere dalla contentezza; rassicurato che
madre e figlio stavano bene, ebbi una strana sensazione di leggerezza, era finito un incubo.
Guardai un calendario: era il 30 novembre 1964, giorno dedicato a S. Luca.
Ripresomi, ringraziai e pregai il buon Dio, ringraziai il Dottore, la Levatrice, e gli infermieri, ma un ringraziamento grosso, grosso lo fatto a mia moglie per il regalo che mi ha fatto baciandola in fronte.
Uscii all’aperto e notai  che il cielo era stellato e mi dissi: “Vedi anche la natura fa festa  con me”.
In quel momento non sentivo né caldo ne freddo, né sonno, né fatica, e mi resi conto che queste sono le vere gioie che riserva la vita…

Monumento di San Giorgio

I monumenti di Trecenta sono pochi, ma sono simboli di una grande fede, e di un grande amore. Il più antico monumento che si ricordi fu eretto nel 1702 dall’Arciprete don Carlo Brunelli, di fronte alla chiesa Parrocchiale.
Era dedicato a San Giorgio Martire.
Circa duecento anni dopo e precisamente la notte del 3 dicembre 1883, alcuni iconoclasti, legandone il collo con un corda, abbatterono al suolo la statua, la quale anche se era di gusto artistico piuttosto scarso, raccoglieva una storia e una fede.
Il 23 aprile 1917, festa di San Giorgio fu posta la prima pietra per l’erezione di una nuova statua nello stesso luogo di quella abbattuta.
Trecenta volle così suggellare il sacro giuramento di porre rimedio al sacrilego insulto. Il voto fu sciolto, e il 26 aprile 1926 il Papa Pio XI inviava a Trecenta la sua benedizione: “PER LA RISARCITA  SACRILEGA OFFESA AL S. PATRONO”.
La statua ben riuscita era dello scultore veneziano Carlo Lorenzetti ( la notizia è tratta dalle “Notizie storiche su Trecenta, Ing. Sartorelli”).
E’ strano che l’autore di questa notizia non nomini il parroco di quel Periodo: l’Arciprete Giuseppe Mons. Annibale. Qualcuno si ricorda e narra che i responsabili di tale misfatto, ben identificati,
e ricordati col nome di sacrileghi, siano stati colpiti da una fine miserevole.
(E’ sempre difficile accertare se la notizia è veritiera, ma pare che  i  responsabili fossero tre).
Si narra anche, che l’ultimo a morire, consapevole della fine imminente, e pentito del male fatto, abbia manifestato il desiderio di chiedere perdono.
Questo desiderio non si è potuto realizzare, il Prete chiamato, è arrivato al suo capezzale, ma lui era già deceduto pochi minuti prima. Per l’occasione dell’inaugurazione del monumento l’allora già menzionato Mons. Annibale provetto poeta, scrisse l’inno a San Giorgio,
musicato dal Maestro  Antonio Fornasari.


Aprile.  2003

Il matrimonio

Unirsi in matrimonio è imbarcarsi in due in un’avventura,
nel corso della quale puoi trovare mille insidie.
La riuscita dipende da come si affronta.
Il segreto è stabilire alcuni punti fermi!
Non devono esserci disparità.
Uno padrone, l’altro il servitore.
Uno che decide, l’altro che esegue.
Uno che ozia, l’altro che lavora.
Se si vuole che l’attraversata riesca, 
i comportamenti che si devono seguire sono questi:
Nei momenti di gioia, gioire insieme.
Nei momenti di dolore, stare uniti.
Nelle controversie, discutere ma non litigare.
Evitare che il volere di uno prevalga su l’altro.
Se uno dei due entra in crisi,
l’altro si fermi, e l’aiuti.
Ben si uniscano altri passeggeri,
I figli per il matrimonio sono il cemento.
Sono una benedizione di Dio.
I nipoti poi sono una lampadina
che si accende quando sta per farsi sera.
Qualcuno dirà: “Pensate di essere degli esperti”.
Rispondiamo: “No, ma la nostra barca naviga da quarant’anni.
Abbiamo navigato con il sole,
ma anche attraverso qualche piccola tempesta.
Non abbiamo mai perso la rotta,
e se a Dio piacerà, speriamo di raggiungere la meta”.

La mascotte del quartiere

C’è un bel bambino, lo dovreste vedere,
per la sua vivacità è la mascotte del quartiere.
Lo trovi nei parchi  e nei giardini,
dove si riuniscono a giocare i bambini.
Sotto  lo sguardo vigile delle bambinaie,
che per lo più sono le loro nonne vispe e gaie.
Da qualche  giorno ha incominciato a camminare,
ed è uno spasso vederlo sulle sue gambine barcollare.
Tutti lo chiamano, tutti lo salutano con simpatia,
lui le fa sempre un sorriso di cortesia.
Ha solo un anno di età,
ma ne dimostra il doppio per la sua personalità.
Vuol vedere tutto le manca solo la parola,
ma troverà presto anche questa adesso che va a scuola.
Con il suo fare disinvolto, il furbacchione,
si fa notare da  tutte le persone.
Quando sorride con i suoi occhi color del mare,
da tutti quelli che incontra si fa amare.
E’ arrivata l’ora di svelare il suo nome,
si chiama Giacomo il birbone.
E’ la gioia della mamma e del papà,
e i nonni non nascondono la loro felicità.
Tutti i bambini del mondo sono un dono di Dio,
Giacomo è uno dei più belli, e questo permettetemi lo dico io.