Dal 1958 al 1962 il salone fu adoperato come cantiere edilizio per costruire pannelli di cemento armato destinati a recintare i semenzai per piante di tabacco.
Immaginate quali danni per i pavimenti: si doveva riempire di malta gli stampi in legno e le lastre di cemento una volta essiccate venivano appoggiate ai muri senza riguardo e i loro bordi taglienti rovinavano l’intonaco dei muri.
I questo periodo le stanze del lato est vennero adibite a magazzino per le polpe secche di barbabietola, che a loro volta venivano adoperate come mangime per il bestiame. Le polpe sono polverose e di odore sgradevole e, non solo gli operai, ma anche gli ambienti ne subivano forte danno.
Negli anni settanta, quando fattore era Alessandro Rinio, i piani nobili e la soffitta del palazzo erano utilizzati per la seconda fase dell’essiccazione delle foglie del tabacco di una varietà recentemente introdotta. Questa varietà, oltre ad essere più produttiva, richiedeva due diverse forme di essiccazione: la prima all’aperto sotto apposite “barchesse” e la seconda in un ambiente chiuso e nello stesso tempo arieggiato.
Per rendere adattare le stanze adeguate a questo compito se ne dovettero bucare i muri per fissare i pali che a loro volta dovevano servire da ancoraggio per fili di ferro, che formavano un reticolo ad altezza di uomo al soffitto, aggiungendo “traineli” per tendere i fili, purtroppo con grave danno ai muri e all’intonaco.
Le foglie di tabacco, una volta selezionate e legate a mazzetti, erano accavallate su pertiche di legno di faggio ed issate, da filo a filo, fino a tre metri da terra, con grande fatica da parte degli operai, in prevalenza donne (e guai lamentarsi). Appese così le foglie vi rimanevano fino all’essiccazione ottimale.
Il rischio di un incendio era elevato ed il disastro sarebbe stato completo…tutti gli abitanti di Trecenta avrebbero “fumato”.