Trovando nel Pascolon l’habitat naturale, gli storni qui venivano specialmente per nidificare e trascorrervi la notte. Il resto del giorno lo impiegavano a procurarsi il cibo nei dintorni. Si cibavano di insetti, semi, frutti e a fine estate, inizio autunno, quando l’uva maturava, ne facevano il loro cibo preferito con vere razzie. Quando prendevano di mira un vigneto, se non disturbati, lo saccheggiavano. Erano perfino dotati di un sistema di avvistamento per non essere avvicinati di sorpresa: mentre il grosso dello stormo mangiava, a turno, alcuni si posizionavano di vedetta sui rami più alti e davano l’allarme in caso di pericolo. Erano talmente tanti che, una volta levati in volo, formavano una nuvola che si muoveva a onde, sicuramente era la loro strategia per non essere catturati dai predatori. Nonostante questa organizzazione, l’uomo ha trovato il sistema per catturarli.
Il periodo propizio per catturali era fine luglio, squadre di uomini autorizzati, predisponevano una trappola, che consisteva di una rete a forma di imbuto chiamata “diluvio”, opportunamente sistemata, sostenuta da pali non troppo appariscenti per non mettere in allarme gli uccelli. Si aspettava il calare della notte, quando le bestiole si accingevano a dormire. I cacciatori disposti a ventaglio avanzavano con ogni mezzo per fare rumore (pentole, bidoni, casseruole) e convogliavano la preda verso la trappola. Per ottenere un risultato più soddisfacente in fondo al tunnel accendevano un lume, le bestiole attratte dal chiarore, si illudevano di trovare l’uscita invece rimanevano intrappolate. Alla fine dell’operazione quintali di volatili erano catturati, quelli vivi erano inviati ai tiri a volo, i morti nella calca, nelle dispense delle trattorie e dei ristoranti. Morale della favola sia che ne uscissero vivi, che morti, la loro sorte era segnata.