Il tarlo

Facciamo tesoro e impariamo affinché certi fatti orribili non si ripetano più.

Un saggio mi diceva che certi eventi si possono ripetere.

Lo faceva raccontandomi la sua storia:

partì militare a 17 anni, era del 99.

Tornò a casa poco più che ventenne,

annientato nel fisico e nel morale.

4 novembre, guerra finita, vittoria, vittoria!

Ma per lui nessun ringraziamento nessuna medaglia,

solo tristi ricordi, compagni lasciati a morire nel fango.

A poco servivano gli incoraggiamenti dei parenti:

“sei giovane, hai tutta una vita davanti”.

Solo il tempo attenuò il suo disagio.

In quegli anni venti, il caos regnava tra i politici e poco è servita la vittoria.

Le notizie che venivano dalla Russia

insinuarono nella testa di molti che il pericolo fosse solo rosso.

Alla gerarchia cattolica fece comodo e chiuse un occhio,

il tarlo si insinuò nei cervelli di molti italiani.

Quando si destarono e videro che il pericolo era anche nero, fu troppo tardi.

Per vent’anni ai cervelli annebbiati degli italiani  

non fu chiesto nessuno sforzo, per loro ci pensavano i gerarchi. 

Prima, col pretesto di allungare lo stivale,

poi per seguire il fanatico nazista.

Anche con il consenso del nano (Re Vittorio Emanuele III).

Da palazzo Venezia un grido: Guerra!

La folla plagiata rispose: Guerra, guerra!

Il nostro eroe invece con le mani nei capelli,

gridò “ci siamo ancora” altra cartolina di precetto.

Non una ma due: quella sua e quella di suo figlio 

lui tornò a casa, poco dopo, a quarantadue anni

ma ne dimostrava settanta, suo figlio spedito in Russia.

Qualche vittoria drogava la mente del popolo.

Ma crescevano le mamme che piangevano i propri figli caduti.

Il disastro sul fronte russo segnò l’inizio della fine.

Lui terrorizzato aspettava notizie dal foglio,

sempre più rare e poi più nulla.

L’armistizio dell’8 settembre 43 mise italiani contro italiani.

Partigiani contro repubblichini, altri morti, altre croci.

Il nostro amico ombra di sé stesso,

stringendomi la mano fra le sue tremanti, mi disse:

“Fu in quei giorni che ricevetti la notizia

di solo tre parole: SUO FIGLIO DISPERSO”.

Trattenendo le ultime lacrime che gli restavano continuò,

“tu vedi il mio corpo, ma la mia vita l’ho persa in quel momento”

non è servito neanche la tardiva nomina di:

CAVALIERE DI VITTORIO VENETO.

È possibile che ancora oggi qualcuno chiami, la GUERRA SANTA, e che insinui in certi cervelli QUESTO TARLO?…. BESTEMMIA…!    

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