Mi trovavo a conversare con vecchi amici quando prese la parola un conoscente, che era nato a Trecenta e che a vissuto i primi anni in paese e poi è dovuto emigrare a Genova per ragioni di lavoro, tornato pensionato, asseriva che trovava difficoltà a conoscere certi vecchi paesani coetanei, mentre ne ricordava bene certi altri. Fin qui niente di male, lo strano era che conosceva bene quelli di un parte del paese, quelli del centro, mentre aveva difficoltà per quelli di periferia. Non essendo la prima volta, ne il primo che sento constatare questo, espongo al riguardo una mia tesi che ha un certo fondamento.
Nei piccoli paesi fino agli anni cinquanta-sessanta (non è che ora le cose siano molto cambiate) la popolazione era divisa in più categorie: ricchi-poveri, istruiti-semi analfabeti, possidenti-nulla tenenti, tutte queste categorie si dividevano ulteriormente: in cittadini quelli che gravitavano attorno al paese, e i cafoni relegati nelle campagne, chi ha decretato queste regole non si sa, ma esistevano e se avete un po’ di pazienza provo spiegarle con alcuni esempi, io che le ho vissute sulla mia pelle.
Da tenere presente, le differenze sociali sparivano fra gli abitanti del centro quando dovevano fronteggiare i periferici, e arbitrariamente si arrogavano diritti e previleggi a loro piacimento. Provo esporvi alcuni fatti che mi sono successi personalmente e in compagnia: il primo che mi viene in mente è a dir poco incivile se non di peggio, noi bambini per tornare a casa da scuola usavamo un sentiero in riva all’argine del fiume Tartaro (usavamo tale strada per due motivi, uno perché era ombreggiata, due perché d’estate ci permetteva di levarci i sandali che chiamavamo “fratin” per risparmiarli). Quel giorno la compagnia era composta da sette-otto bambini e bambine si parlava e si rideva, quando da un cespuglio sbucarono tre “spiazzirotti” abitanti di un via a quei tempi ritenuta poco educata: “le Cavalle” la loro età era maggiore di qualche anno alla nostra, giunti in nostra presenza avanzarono l’imposizione che alcuni di noi, i più grandi assaggiassero i loro escrementi appena prodotti, al nostro naturale rifiuto passarono a obbligarci con la forza, come sempre per fortuna è arrivato lo “Zorro” di turno, un nostro amico più grande di noi, che avendo terminato l’obbligo scolastico, tornava a casa anche lui dopo la mattinata passata come garzone da un calzolaio. Visto la scena non ha esitato un solo momento a gettare nel fiume i tre prepotenti con i pantaloni ancora a mezza gamba. Ha fatto anche di più, li ha ammoniti che se la cosa si fosse ripetuta, oltre il bagno avrebbero assaggiato il sapore di un bastone. Forse voi non crederete ma non siamo più stati molestati.
Il resto delle mie argomentazioni si riferiscono a fatti che mi videro protagonista in prima persona, frequentavo l’oratorio, dove tutti a parole dovevamo avere i stessi diritti, questo era sancito da un regolamento, ma come si sa in tutte le occasioni della vita c’è sempre qualcuno che vuole fare il furbo.
Una delle regole stabiliva che se c’erano più ragazzi che volevano giocare a ping-pong, sia che si giocasse il singolo che il doppio finita la partita si doveva lasciare il tavolo alla coppia seguente.
Chi ha giocato, sa che le partite finivano al raggiungimento del ventunesimo punto.
Arrivo con un mio amico e trovo il tavolo occupato, la partita era sul 12 pari, dopo un po’ le sorti erano cambiate, 17 a 15, a questo punto qualcosa ci ha distratti e ci accorgemmo che dopo tre minuti erano solo sul 15 a 13, li abbiamo ammoniti che non facessero i furbi e che terminassero la partita, il consiglio non venne ascoltato e continuarono la manfrina. Dopo un’ulteriore sollecitazione ci sentimmo rispondere: “Cosa volete voi che siete solo capaci a zappare la terra”, avete capito bene erano due “spiazzaroti”.
Al sentire queste parole mi è venuta la mosca al naso, (non so il perché in questi casi mi viene una forza!). In un baleno ho preso per il bavero il più piccolo, per ovvie ragioni, invitandolo a ritirare le parole poco prima pronunciate, non solo non le ha ritirate, ma ne ha aggiunte delle altre che non nomino, non ha neppure terminato l’ultima sillaba che si è visto arrivare due ceffoni sul viso delicato da signorino sfasciato, le mani erano quelle ruvide di un contadino, le mie. Dopo questo episodio siamo diventati amici, e solo più tardi si è ricreduto confidandomi che quei ceffoni se li era meritati. L’episodio che vi racconto ora è successo molto prima, si stava giocando a palline in Piazza S. Giorgio, il solito furbo della stessa risma del primo ci impediva di giocare, dopo due o tre sollecitazione a smetterla, senza ottenere risultato, cercai di prenderlo ma lui fuggi via come un razzo, lo inseguii per regolare il conto, in fretta si infilò in un cancello li adiacente, vista l’impossibilità di raggiungerlo le sferrai un calcio nel sedere tale che lo fece ruzzolare per terra. A voi immaginare le condizioni dei suoi ginocchi. So di non essermi comportato bene ma cosa volete farci, era più forte di me. Per completare il mio argomentare quello che non potevo sopportare era il comportamento di certe maestre che facevano le differenze, stravedevano per certe pupattole e pupattoli e snobbavano i ceti ritenuti a torto inferiori. Ringrazio Dio di avermi dato una maestra molto diversa da queste, una vera educatrice. La maggior parte di quei damerini sopra menzionati, se hanno raggiunto certi traguardi non è stato per la loro testa ma per il portafogli dei loro genitori. Conclusione, il signore che si ricordava di alcuni e non di altri può trovare la risposta nelle argomentazioni da me esposte, ricorda solo quelli del suo giro e ignora quelli che ignorava anche quando era giovane. Penso che abbiate capito che sono orgoglioso di essere stato contadino e figlio di contadini.
Rivisitazioni di un fenomeno vissuto
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