L’alluvione del Po del 1951

Il mattino sembrava normale, un mercoledì di Novembre e precisamente il 14 e l’anno era il 1951. Il cielo era grigio anche se il grosso delle piogge era caduto qualche giorno prima.

Non sapevo il perché, ma ero particolarmente malinconico e davo la colpa al fatto che i miei cugini avevano iniziato ad andare a scuola ed io no, per il semplice motivo che avevo terminato le elementari. Mi sarebbe piaciuto continuare ma i tempi e le condizioni famigliari non me lo permisero.

Tutti i mercoledì, i contadini e i cittadini che non erano occupati in lavori urgenti e che volevano aggiornarsi sui prezzi e sull’andamento dei mercati, si ricavano a Badia Polesine, dove si svolgeva il mercato più importante della zona. E così fece anche mio padre.

Ma che fosse un giorno diverso lo compresi alle 10, quando sia mio papà che i miei cugini  tornarono a casa con la triste notizia: “Il Po sta per rompere gli argini.”

I mezzi di comunicazione (che oggi chiamiamo “mass media”) erano pochi. Poche erano le famiglie che leggevano giornali o possedevano apparecchi radio: si può immaginare come le informazioni erano scarse. Come fanno gli animali, anche gli uomini nel pericolo si sentono più sicuri se uniti. Quindi i vari componenti della famiglia abbandonarono le occupazioni non urgenti per discutere e prendere la decisioni più giusta. Ma che decisioni si possono prendere quando il problema da risolvere è poco chiaro? Si rende necessario saperne di più. Non restava che recarsi sulle rive del Po e constatare di persona la situazione. Qui nasceva il primo ostacolo: la distanza da casa mia agli argini del Po era di 9 km da fare in bicicletta, a quei tempi uno dei pochi mezzi a disposizione, ci si impiegava un’ora ad andare ed un’ora a venire. Secondo ostacolo: chi doveva andare? Il capo famiglia doveva restare per prendere, in caso di pericolo, le decisioni del caso. Si decise allora di mandare il mio fratello maggiore, il quale accetto a malincuore, diviso tra il senso del dovere e il pensiero di lasciare la moglie ed un bimbo di pochi mesi. Rassicurato, parte.

Come si può immaginare, l’attesa si fa lunga, i minuti non passano mai. Nel frattempo presso amici di contrada c’è una radio dalla quale arrivano notizie preoccupanti: “Il Po non ha mai raggiunto un livello così alto, tutto dipende dalla tenuta degli argini, la piena deve ancora passare, è prevista per la serata, l’esito può essere favorevole se smette di soffiare il vento di Scirocco e l’Adriatico incomincia a tirare, a Melara in Alto Polesine una frana minaccia l’abitato, tutti gli argini sono minacciati dai fontanazzi, occorrono uomini per aiutare le forze preposte dal Signor Prefetto”. Queste e altre le notizie, la radio trasmetteva.

Col passare delle ore si formano dei gruppi di persone di tutte le età.  I più anziani si ricordano o hanno sentito dire della rotta dell’Adige e delle zone più alte non toccate dall’acqua e dei disagi patiti. Nel frattempo sono tornati gli inviati a verificare la situazione sull’argine del Po. Naturalmente il più atteso per me era mio fratello perché le sue notizie erano le più attendibili. Il primo sentimento al suo arrivo è stato il sollievo e poi la curiosità. Trafelato, egli incomincia a raccontare che c’era talmente tanta acqua che scorreva che no si vedeva l’argine dall’altra parte. E’ un effetto ottico dovuto allo scorrere dell’acqua, che increspando, sembra il dorso di un animale impazzito.

Gli operai e i volontari lavoravano senza posa, in silenzio, alcuni riempivano i sacchi di sabbia, altri li accatastavano nei punti in cui l’acqua traboccava o alla bocca dei fontanazzi. Il silenzio era rotto  solo dagli ordini dei responsabili nominati dal Magistrato del Po. I curiosi erano pregati di allontanarsi ma con scarso risultato.

Quando mio fratello constatò che anche lì le notizie erano confuse e frammentarie decise di tornare, rendendosi conto che venire a vedere di persona non era servita a nulla se non a confermare quanto già ipotizzato. L’esito favorevole o sfavorevole dipendeva dal verificarsi degli eventi già menzionati: tenuta degli argini, vento favorevole, ecc.

Tutti volevano interrogare mio fratello, ma la domanda che più mi sconvolse è stata quella di mia mamma. Lei è nata e vissuta in riva al Po e si ricorda di aver sentito storie di gente pagata da agricoltori o industrie dell’altra parte, che venivano traghettati di notte sulla riva opposta  per tagliare gli argini  e far allagare le terre altrui e salvare la propria. A tal domanda, mio fratello non ha saputo rispondere ma era convinto che tutti quegli uomini, che in lontananza sembravano tante formichine, non fossero capaci di atti così brutti. Ma mia mamma scosse la testa.

Avevo solo tredici anni, ma capivo che le prospettive erano tristi. Erano passati solo sei anni dalla fine della guerra che aveva lasciato anche in Polesine lutti e distruzioni. Lentamente si vedevano i primi risultati di una faticosa ricostruzione sia materiale che morale. Per il Polesine povero da sempre, ricco solo di braccia e bocche da sfamare, qualcuno lo chiamava il “sud del nord”, un’alluvione sarebbe stata una catastrofe.

Confusamente, questi erano i pensieri che mi passavano per la testa, ascoltando le notizie che erano via  sempre più brutte. In autunno le giornate si accorciano in modo sempre più rapido, quel poco di sole cala all’orizzonte lasciando posto subito alla notte. In quel momento un lontano altoparlante posto sul tetto di un’auto diffonde il triste e lugubre ritornello: “La situazione si mantiene grave, la popolazione si tenga pronta a sfollare ad un eventuale ordine”. L’auto girava per le vie dei paesi, ripetendo ossessivamente il messaggio sempre più impressionante man mano che la notte calava.

Quello che non potrò mai dimenticare è l’atmosfera che si respirava in quelle ore. Gli uomini si agitavano e non concludevano niente, perfino gli animali erano più docili del solito. Perfino il nostro cane Bill, passatempo di noi bambini, col suo sguardo intelligente partecipava alle ansie della famiglia.

Il compito delle donne e dei bambini era di pregare ed esortare il Buon Do a limitare i castighi che pur meritavamo in quanto poveri peccatori. Il numero di persone che partecipava a questo rito era nutrito essendo la nostra famiglia di tipo patriarcale contadina e c’erano a quel tempo ben venti anime. Non solo le donne e i bambini, ma anche gli uomini, senza farsi vedere, si rivolgevano a Dio, sperando nel suo aiuto.

Alle 9 di sera, arriva la tragica notizia: “IL PO HA ROTTO AD OCCHIOBELLO”.

Per il Polesine e per noi, erano lutti, devastazioni e preoccupazioni a non finire.

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