Tutti, da bambini, avevamo un giocattolo preferito, guai a chi lo toccava, chi si provava, ci faceva andare in bestia. Più avanti negli anni, vuoi, aiutati dal destino, ma molto con la nostra volontà, ce ne siamo costruito uno (in senso metaforico: lavoro, istruzione, famiglia, carriera).
Spesso il risultato non è stato soddisfacente, ricostruirlo diversamente sarebbe stato arduo, tant’è, con l’entusiasmo giovanile, ce ne siamo affezionati.
Nei primi tempi funzionava egregiamente, lo curavamo, lo oliavamo nelle parti in movimento, lo dotavamo di altri accessori, diventava sempre più perfetto o ci sembrava.
Ma gli anni passano, l’entusiasmo diminuisce, i meccanismi si logorano e incominciano a cigolare.
Essendo distratti, questi segni non li abbiamo visti subito, l’usura cresceva, arrivano le prime rotture, le riparazioni non erano accurate, le saldature superficiali. Finché per il bel giocattolo arriva un cedimento importante. Sapendo che “la vita” di questo giocattolo è composta da vari elementi autonomi, ma complementari e per questo obbligati a collaborare, affinché il carriaggio rimanga efficiente, anche se cigolante, continuerebbe a camminare, altrimenti il giocattolo sarà da buttare. Ovviamente se questo avviene, il possessore di tale congegno si sentirà deluso, per il fallimento e cercherà la causa responsabile di tutto ciò, ma non la troverà. Se il malcapitato ha la fede in Dio, bene, sarà la sua ancora di salvezza, se gli mancherà anche questa, non gli resterà che sedersi sulla riva del fiume e aspettare il traghetto chiamato “morte”, che lo porterà sull’altra sponda e là sarà “pianto e stridor di denti”.
Il giocattolo
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