Cinque ragazzi ed uno scettico

Quando leggerete questo titolo vi chiederete del suo significato. I cinque ragazzi erano compagni di scuola e di scorribande serali. Lo scettico ero io ed eravamo capitati a raccogliere la frutta nell’azienda agricola Val di Fiocco a Zelo. Fin qui nulla di male, il problema nasce a stare insieme: il direttore dei lavori non filava bene con i giovani e quando li ha visti a deciso di appiopparmeli: eravamo organizzati in due carri “raccogli frutta” , uno con la squadra descritta sopra e l’altro con personale adulto e teoricamente più affidabile.
Confesso che il mio primo giudizio è stato una tacita esclamazione: “Sono conciato per le feste!”.
A mio favore avevo la fiducia espressami dal proprietario, la giovane età dei ragazzi ed il fatto che non mi è mai piaciuto fallire. Ovviamente l’altra squadra era in attesa del nostro o del mio fallimento disastroso.
Ma ora facciamo conoscenza dei sei: cinque maschi ed una gentile signorina con qualche anno più di loro: Michele, Simone, Marco, Paolo, Fabrizio ed Annalisa. Cinque erano diplomati ed uno era studente universitario, e questo era un punto a mio favore, era più facile farmi capire.
Michele era il più estroverso, carattere esuberante e generoso, col pallino per la vita militare: lo si vedeva dal modo di vestire, indumenti mimetici, borraccia e berretto e anche dai discorsi che faceva. Il suo amico inseparabile, Marco, era molto equilibrato, e proprio perché era così si capisce come potevano andare d’accordo. Arrivavano sul posto di lavoro insieme su una Cinquecento rossa, rappezzata ed alquanto sgangherata.
Simone li sovrasta in altezza e saggezza, era il mio gioiello, figlio di un mio amico, era il più disponibile ad eseguire gli ordini.
Paolo l’intellettuale di turno, fisicamente meno dotato ma con tanta buona volontà. Ed in più i suoi discorsi davano spessore alle conversazioni. 
Fabrizio ultimo dei cinque, l’unico che avrebbe potuto lavorare nell’azienda di famiglia, preferiva venire a lavorare con gli amici. Era lento, ma diceva di essere sempre tutto accelerato.
Ciliegina della torta, Annalisa, la nostra maestrina, la cui femminilità dava gentilezza alla compagnia.
Alla guida del carro c’era Lucio che spesso si appisolava e fraintendeva gli ordini: quando doveva andare avanti si fermava e viceversa ed era bersaglio di scherzi e frizzi.
Questo era il materiale umano che avevo a disposizione ed occorreva farlo funzionale. Per esperienza sapevo che fare amicizia avrebbe dovuto dare buoni frutti. Mai dare ordini autoritari, chiedere sempre “per piacere”, non rimarcare gli sbagli se non per correggerli, sorvolare su qualche ragazzata, ma mai farsi mancare di rispetto. 
Nel giro di due giorni tutto funzionava alla perfezione. Lavoravamo, sudavamo, scherzavamo, ma non mollavamo. Si era formato un gruppo ben affiatato che si rispettava e destava l’invidia dell’altra squadra. Il mio scetticismo verso questi giovani era sparito. La giornata era di otto ore con pausa a mezzogiorno, e sia al mattino che alla ripresa pomeridiana era una festa di allegria e voglia di ritrovarsi. Il lavoro consisteva nel raccogliere la frutta, selezionarla, metterla nelle casse e, raggiunto il numero sufficiente, formare una “pedana”. Tutti a turno sapevano fare questo compito ma la più brava era Annalisa, la più rispettata in tutti i sensi, e tengo a sottolineare “rispettata” anche se a sentirli parlare parevano tutti dei “sciupa-femmine”. Si arrivava a sera stanchi, ma allegri. Durante il lavoro si parlava, si scherzava, senza mai fermare le mani.
I ragazzi avevano tutti frequentato la stessa scuola e avevano avuto gli stessi professori. Li sentivi parlare di come prendevano in giro il professore ex-sessantottino, dicendo “piccì” ogni volta che starnutivano. Oppure di come uno di loro, imitando perfettamente la voce di un altro professore, faceva scattare gli studenti più giovani. Si facevano anche discorsi più seri oppure ci si raccontava qualche barzelletta, anche un po’ spinta ma per questo più saporita.
Il nostro motto era lavorare e rendere senza annoiarsi. E dimenticavo di dirvi che quello che era di uno, era di tutti, i scambiavamo merende e bevande. 
Da queste conversazioni ne sono uscito più ricco anch’io, ho aggiornato i gusti musicali e letterari ed ho conosciuto i vizi e le virtù del mondo dei giovani. Una bella esperienza che difficilmente dimenticherò.
E come sempre, tutto è destinato a finire, e negli ultimi giorni l’aria si era fatta pesante, ma nessuno lo ammetteva. Arriva il momento di salutarci, i soliti ringraziamenti, le promesse di ricontrarsi, consapevole però che la vita ha il suo corso e le strade si dividono.
Ma ecco al chicca finale. I sei si appartano dal grosso della compagnia e con un cenno mi invitano ad aggregarmi. L’intellettuale, come chiamavamo Paolo, estrae da sotto il giubbotto un libro ed insieme me lo consegnanoin segno di riconoscenza per averli trattati da adulti. E lo meritavano, eccome lo meritavano…
Ancora oggi a distanza di dieci anni, il gesto mi commuove come allora. Ricordo le sole parole che sono stato in grado di pronunciare: “Via auguro che la vita vi riservi ogni bene.”
In dieci anni sono accadute molte cose. Michele ha subito un grave incidente, durante un lancio il paracadute non si è aperto correttamente e gli ha procurato gravissime lesioni, tanto che si è temuto che rimanesse paralizzato. Ma grazie alla sua forza d’animo e alla sua tenacia, per fortuna gli è andata bene. Ora lavora in Russia. Tra le sue qualità, c’era l’amore dell’avventura e lo dimostra col lavoro che ha scelto.
Simone si è sposato e lavora in provincia di Verona.
Annarita si era recata in Germania per lavoro, a vendere gelati, e lì ha trovato l’amore e si è sposata e vive felicemente, spero. 
Marco, per quel che so, è fidanzato e lavora in provincia di Padova. Degli altri ho perso le tracce, ma sicuramente si sono sistemati bene, è quello che spero.
Ancora oggi, quando incontro qualcuno di loro è una festa.

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