La mia Trecenta

Premessa al libro

Qual è il motivo che induce un uomo di settanta anni a scrivere un libro? Tanto più un non “addetto ai lavori” che si è occupato per tutta la vita cose completamente diverse.

Mi capita spesso di ripensare ai cambiamenti succeduti negli ultimi cinquant’anni, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello sociale e nelle singole persone. Ripenso al modo di dire “Se tornassero al mondo i nostri nonni…” o alla frase “Una volta eravamo più poveri, meno istruiti, ma ci si aiutava di più, ci si rispettava” oppure “Una volta il mondo era meno caotico, era a misura d’uomo”.

Ma se al di là di questi luoghi comuni, si entra nel dettaglio, come ho cercato di fare io nel mio scritto, ci si accorge che ne valeva la pena.

Quanti avvenimenti che si sono susseguiti negli anni potrebbero andrebbero perduti? Quante usanze e tradizioni potrebbero andare dimenticati? Quanti piccoli episodi potrebbero venir dimenticati?

E’ doveroso ricordare ed apprezzare il vecchio modo di vivere nel cosiddetto
 “mondo contadino”. Voglio ricordarvi alcuni esempi.

A quei tempi ci si aiutava di più, la necessità faceva sì che si mettesse in pratica il motto dei Tre Moschettieri “Tutti per uno, uno per tutti”. Se in un casolare di campagna la puerpera arrivava al termine dei giorni di gravidanza e si approssimava il lieto evento, si riunivano le anziane del luogo, mandavano il futuro padre a chiamare la levatrice e gli altri uomini venivano allontanati (non  si voleva “Secca scatole” per i piedi). Le donne si dividevano i compiti, dalla più anziana alle più giovani. E’ successo molte volte che la lavatrice arrivasse trovando tutto fatto, trovando tutte le  famiglie del circondario che festeggiavano e a lei non restava che registrare l’evento con l’ora di nascita e nome del nascituro. Ora si partorisce in ospedale con tutti i confort, tutto bello, ma manca quel pizzico di poesia in più. 

I tempi erano quelli che erano, una guerra dopo l’altra e non si faceva tempo di alzare la testa che qualcuno voleva allungare lo stivale. Ma chi doveva andare a combattere? I poveri! Sempre loro.

In questa situazione non rimaneva che aiutarsi.

Quanti poveri sia economicamente, che fisicamente, ho visto passare a chiedere l’elemosina o, senza tetto, chiedere di essere ospitati! Non era loro rifiutato né un piatto di minestra né una scodella di latte e polenta o un letto di paglia nel fienile. Penserete che sia poca cosa, ma questo era quello che passava “il convento”. Dovete valutare la solidarietà.

Di esempi ce ne sarebbero mille altri, ma è proprio questo che mi ha fatto scattare la molla di scrivere questo libro. I giovani certe cose non le sanno, perché nessuno si preoccupa di raccontarle.

Se la popolazione di un paese di origini contadine perde la memoria, perde una grossa fetta della sua anima.