Aspettando l’alba – 09

Occasione  provvidenziale

E’ proprio vero, il destino distribuisce gli eventi a suo piacimento, sia quei belli, che i brutti. Nella zona si sparse la notizia, (il paese è piccolo e la gente mormora), che alla Gaspara si sarebbe tenuta una grande festa, organizzata dal padrone per salutare e festeggiare l’avvenuta promozione di suo figlio Fulvio, che si era laureato in Medicina, all’Università di Padova. Tutti i concittadini erano invitati, doveva essere una tregua momentanea per le misure severe messe in atto dal “Volpone”, specialmente nei confronti della figlia Elena, forse in cuor suo pensava che la lontananza avesse attutito e fatto dimenticare alla figlia la scappatella amorosa giovanile.  La data era stata fissata per il venti giugno, si era scelto questo periodo per non pregiudicare la festa, visto che si doveva svolgere all’aperto, quindi lontano dalle bizze primaverili e prima del caldo estivo. Per Bruno una notizia più bella di questa non ci poteva essere, se a questo associamo l’altra notizia; in quei giorni, Bruno ricevette, (sempre con lo stesso stratagemma), l’ennesimo biglietto di Elena, dopo quelli ricevuti per le varie feste di Natale e per Pasqua, succedutesi negli ultimi anni, tutto questo faceva presagire al nostro giovane che il tempo stesse per volgere al bello.

La missiva, della sua amata, diceva di avere ottenuto il permesso di tornare a casa per le vacanze, e continuava:“ Vedrai come sarà bello, ci racconteremo tutto quello che ci hanno impedito, tenendoci lontano, questa lontananza è stata solo fisica, perché tu mi sei sempre stato vicino, sia durante il giorno, ma soprattutto nei sogni alla notte, fra questi quello più ricorrente riguarda la prima volta che ci siamo incontrati, quando con furbizia hai escogitato la storia del berretto, è stato allora che in me è scattato qualche cosa nel mio cuore, che solo più tardi ho capito che era il mio amore per te”.

(La ragazzina, dimostrava di essere molto più matura degli anni che aveva, stava per compiere diciannove anni.) La missiva terminava con un lungo ciaooooo, e i soliti cuoricini. Bruno non stava nella pelle, tanto era contento, non vedeva l’ora che ciò avvenisse, ma senza far trapelare i suoi sentimenti. Doveva essere il suo segreto.

A tutti poteva nascondere il suo stato d’animo, ma non alla mamma, lei aveva notato il cambiamento d’umore del figlio, ma teneva tutto per se; per niente si dice: “La mamma è sempre la mamma”.

Per i signorotti delle Gaspara, l’avvenimento era talmente importante, che essi provvidero per tempo: alla sistemazione degli alberi nel parco, la tosatura del prato, sistemando vasi nuovi nei viali, pulendo le aiuole, istallando ripari per il sole con tende dal nome mai sentito prima, “gazebo”, (almeno qui da noi), tutto doveva essere in ordine, non si è badato a spese. Il giorno prestabilito si presentò in modo ideale, sole radioso, temperatura tiepida, tutto l’ambiente, guardandolo con occhio attento, somigliava all’Eden, descritto nella bibbia. La cerimonia era stata fissata per le ore quindici, ma molto prima i più curiosi entrarono a sbirciare, tra questi la nostra conoscente, Rosina, nonostante la sua età avanzata, non ha voluto mancare, anzi faceva da portavoce: “Vardè cal la,  le al  posto riserva  ai ospiti d’onore, le autorità”. Il gruppetto si avvicinava sempre più al posto loro riservato, le ultime sedie là in fondo. A quel qualcuno, dei suoi compari che si lamentava, Rosina, sentenziava: “Na grazia che i sa invità, cosa volio che i ve ciama a taola con lori”.

Anche se erano lontani potevano vedere i tavoli imbanditi, con sopra ogni ben di Dio.

Dolci di ogni genere; panini, bevande di ogni tipo, caraffe di aranciata, di limonata, tè freddo, acqua. Alla domanda de Toni “ A ne vedo gnanca un gozo de vin”, a ga risposto Gioani cal fasea da capo squadra:

“ Parla pian, i ne mina vilan tutti come noantri”, “ Parchè secondo ti, bevare un goto de clinton ele robe  da  vilan, mona che ne ti si altro”.

I loro occhi erano impegnati, tra l’altro a guardare quelle ragazze vestite con camicie bianche e gonne nere, con in mano una specie di battipanni, che serviva a spaventare le mosche che volevano posarsi sulle vivande.

Alle ore quindici incominciarono ad arrivare i primi invitati, fece scalpore vedere entrare dal portone centrale alcune auto, (allora ve ne erano poche in circolazione) erano occupate dalle persone di riguardo, altri meno fortunati in bicicletta, ma la maggioranza a piedi. A Bruno tutto questo non interessava, lui entrò e si mise in un angolo appartato. A un certo punto si udì un mormorio; dalla porta centrale della villa comparvero il padrone di casa, con il figlio alla sua destra, il sindaco alla sinistra, poi un codazzo di dottori, dame impettite e amici di famiglia e l’immancabile Prete. Non fecero neanche tempo a prendere posto che dalla folla il solito incaricato, tira piedi, incominciò gridare: “ Viva il Dottor Fulvio, viva il padrone”, In coro risposero: “ Evviva, evviva”.

Bruno, però aspettava lei, l’ispiratrice dei suoi sogni, la sua Reginella, ed ecco che apparve sulla porta al fianco della mamma, la quale era, manco a dirlo, vestita di nero, tutto questo però faceva risaltare ancora maggiormente il bel vestito rosa indossato da Elena. Tutti notarono l’audace scolatura della ragazza, per quei tempi. Nonostante la sua tenera età le sue forme facevano intuire il figurino che sarebbe diventato. Il suo corpo era irrobustito non era più la ragazzina che si ricordava Bruno ma quello di una giovane donna.

Tutti la videro bella, ma Bruno molto di più; era la sua Dea.

Che completava la bella figura di Elena erano i biondi capelli, tenuti dal solito nastro azzurro, le scarpine ai piedi  sembravano quelle di Cenerentola, diventata regina.

Si deve sottolineare, che anche Bruno è diventato bello e robusto, tanto che Elena, pur da lontano, se lo divorava con gli occhi. A questo, punto il nostro spasimante si fece coraggio, avanzo verso di lei, i loro occhi si incontrarono, nelle loro teste i violini incominciarono a suonare arie melodiose. Quando furono vicini si udirono due ciao, con un filo di voce, la scena venne interrotta dall’inizio della cerimonia. Prese la parola il  sindaco: “ A lei signor Angelo, a te Dottor Fulvio,( permettimi di darti del tu) a voi cittadini di Trecenta qui convenuti a lei reverendo, dopo avervi salutato, vi dico abbiamo bisogno di giovani istruiti e preparati come il nostro amico Fulvio con il quale mi congratulo, ma il mio compito è quello di presentarvi l’onorevole; il boato che si levò dalla folla dei presenti talmente alto che non permise alla maggior parte dei presenti, di comprendere il nome, una cosa è sicura; si trattava di un amico di famiglia.

L’Onorevole, che discorso può fare? Di  taglio politico naturalmente.

“ L’Italia in questo momento ha bisogno di uomini come il nostro amico Fulvio, le quali capacità sono eccezionali, ( noi però, sappiamo che era un debole e non concluse niente nella sua vita, si è sempre fatto mantenere dal padre). Le parole dell’Onorevole hanno causato i commenti della Rosina: “ Con un santolo  come cal lì al paronzin al sa sistemà”.

A Bruno, tutto questo non interessa un bel niente, lui  era  in compagnia dei suoi pensieri.

Anche a tutti gli altri non sono molto interessati al blaterare dell’oratore, tutti pesano all’abbuffata. Intanto anche il tempo cambia di umore, da nord compaiono nel cielo nere nuvole. L’atteso  invito di cominciare il momento conviviale venne dato. Mentre gli ospiti di riguardo venivano serviti, dalle signorine che abbiamo conosciuto, gli altri caoticamente  si avvicinarono alle tavole, con spintoni e grida, i più robusti hanno la meglio, le scene che assistiamo sono ridicole: un pasticcino in bocca, un panino in mano, il bicchiere nell’altra, non si sente una parola, la bocca è impiegata diversamente. Solo una voce si levò: “Chi ghe voria un bicere de clinton”,  e zo na parola inominabile. Era il solito Toni.