Aspettando l’alba – 04

Quando si sapeva giocare

Oggi i bambini non sanno più giocare, non hanno fantasia. Al tempo della nostra storia i bambini giocavano così. I maschi, al loro ritorno dalla scuola, i più diligenti dopo avere fatto le lezioni date per casa, giocavano: a “biscara o bindeca”, pezzo di legno appuntito ai due lati, che veniva fatto saltare e lanciare con un bastone, vinceva chi lo lanciava più lontano; a “ mago” cumulo di pietre sovrapposte, si giocava tirando, a turno, una pietra in modo di far crollare il cumulo, vinceva chi riusciva a ricuperare la pietra lanciata senza essere preso dal custode del cumulo, questo avveniva solo dopo averlo messo in piedi, ecco la necessità di faro crollare, chi era preso si diceva :” doveva stare sotto” cioè custodire il cumulo, si preferiva tirare e non lavorare per raddrizzare il manufatto, poi si giocava con le palline di terracotta, nascondino ecc. Altro gioco di squadra era quello del pallone, solo che spesso i palloni non erano di cuoio ma di pezze arrotolate, tenute insieme con elastici . Altro particolare curioso era quello nel formare le squadre, quando si riteneva che il numero di bambini radunati fosse sufficiente i due che si ritenevano meglio degli altri, tiravano pari e disperi, chi vinceva, sceglieva quello degli amici che gli sembrava il migliore, il perdente sceglieva a sua volta, e cosi alternando le scelte, fino ad arrivare ai meno dotati, a questo punto incominciava la partita, che spesso finiva con una grossa litigata, per rigori non dati o gol non validi, non esisteva l’arbitro.

A Bruno vengono spesso in mente le parole del suo Prof. di lettere

Renzo Buson, on giorno vedendoli a giocare a pallone nel cortile della scuola, si complimento con loro dicendo: “Qui si vede il vero sport, no sui campi di calcio delle grandi città, dove certi presi dalla mania di grandezza, grazie ai lauti stipendi, stanno diventando “parasiti destinati a delinguere”, che fosse profezia questo? Visto quello che succede oggi.

Le femmine invece giocavano con le“pue” bambole, spesso fate di pezza(non esistevano le barby,), girotondo, nascondino, “a scalun” ecc. Tutti giochi che era indispensabile una parte attiva, sia nel costruire gli attrezzi necessari, che nel praticarli.  A questi giochi, che si praticano tutto l’anno, aggiungiamo quelli tradizionali del carnevale, a pensaci salta agli occhi la differenza del modo di giocare di quei tempi a quelli di oggi. Ripeto, non è esagerato dire che oggi i bambini non sanno più giocare.

Come si fa non ricordare le corse coi sacchi, o salire sull’albero della cuccagna, le corse con le carriole? Questi  bambini rispetto ai loro genitori sono stati fortunati, grazie al fatto che i tempi erano  migliorati, e si era presa coscienza che l’istruzione era indispensabile per il sviluppo dalla società, queste opportunità non erano state date a molti genitori di questi bambini,molti di questi erano analfabeti, specialmente nei paesi di campagna la scuola non era ritenuta indispensabile. La mentalità prevalente era che per lavorare la terra non ci voleva nessun diploma. Per lungo tempo, fece fatica prendere coscienza che gli uomini sono tutti uguali.  Era facile notare differenze di trattamento, certi insegnanti riservavano trattamenti favorevoli ai figli dei benestanti, che venivano curati e coccolati, anche se erano stupidi e insignificanti manichini, al contrario dei figli della povera gente si diceva : “Per andare a zappare non occorreva tanta istruzione”.

Altro svantaggio che avevano Bruno e i suoi amici, era che per recasi a scuola dovevano fare alcuni chilometri di strada a piedi, un bel sacrificio, anche se era un altro modo per fare amicizia. Queste comitive erano composte da maschietti e femminucce e questo permetteva di dare le prime sbirciatine lussuriose.

Chi arrivava comodamente a scuola era la “padroncina” Elena, sempre tutta agghindata . Li sorpassava a bordo del famoso calesse trainato dalla bianchina, la docile cavalla, comandata dal fido Camillo. Ma che persona era questo signore. Gia suo padre era un dipendente del “volpone” questa famigliarità le permetteva di conoscere le poche virtù e i tanti vizzi del padrone.

Quando riceveva un ordine insensato, borbottava tra sé e sé ma poi lo eseguiva. Il volere del padrone era legge, questo il padrone lo sapeva benissimo e ne approfittava. Questo suo atteggiamento le procurava tanti nemici. Un giorno transitando per un viottolo di campagna, col calesse si avvicinò troppo al ciglio, il mezzo si capovolse nel fossato e Camillo vi rimase sotto.

Un passante che lo conosceva, e non approvava come si comportava, le si avvicinò chiedendoli se si fosse fatto male e avendo ricevuto la risposta che non aveva niente di rotto, ma che non ce la faceva ad uscire dalla trappola, lo ha rassicurato dicendogli: “ sta li riposati che prima o dopo verrà il tuo padrone a liberarti”. Mentre si allontanava sentiva le “benedizioni” che le gridava dietro. Tornando al racconto, la strada era polverosa d’estate e melmosa d’inverno, dipendeva dalla stagione perché, quelli a piedi venissero, o impolverati o imbrattati dal fango, tutto ciò infastidiva i colpiti, qualche discolaccio tentava di aggrapparsi al calesse, ma venivano allontanati al suono di frustate,  il che faceva ridere la padroncina, i malcapitati reagivano tirando sassi al calesse e pronunciando parole poco civili come:

“Smerdona de na smerdona a ne ga da andarte fora na roda a sto trabicolo”.

Bruno, abbastanza diverso dai suoi compagni non partecipava mai a queste bravate. Lui le sembrava che la bimbetta le riservasse sguardi benevoli, che tutto ciò volesse dire qualcosa? Ma. Se alla fortuna di avere avuto una buona famiglia, aggiungiamo che a trovato anche una eccellentissima maestra la signora Cortelazzo.

Di questa signora Bruno porta con se sempre un grato ricordo, tanto che quando torna al paese natale, specialmente per la commemorazione dei defunti, non manca mai di portare un fiore e recitare una preghiera sulla sua tomba. Oltre a ricordare il suo modo di insegnare, le viene in mente cha la signora maestra era la padrona di un teatro dove si proiettavano i film, un cosi detto “Cinema”. La maestra per invogliare gli alunni ad essere solleciti e non bighelloni, tutti i sabati a chi terminava il problema di matematica per primo, naturalmente giusto, le veniva offerta l’entrata a gratis, per par “condicio”, come si direbbe oggi a un maschio ed a una femmina. Sapendo che la matteria piaceva a Brono una volta su tre riusciva a vincere il premio.

Se pensiamo che le finanze dalla famiglia erano scarse, anche questo aiuto era gradito, da tutto questo si comprende come il ragazzo avesse qualcosa in più in testa di quello che avevano certi suoi compagni di scuola e di gioco. Seguendo l’esempio del modo di comportarsi dei fratelli maggiori, Bruno dopo avere fato le lezioni date per casa, il nostro amico che riconosceva i sacrifici che i suoi genitori facevano,  per mandarlo a scuola e quindi voleva ripagarli nel modo più riconoscente possibile, si concedeva solo qualche momento di svago con i compagni di gioco, il resto del tempo libero lo passava ad aiutare la mamma e i fratelli, realizzando quei piccoli lavori adatti alla sua età. Tutto ciò lo faceva spontaneamente traendone soddisfazione.

Molto diverso  era l’atteggiamento di quei suoi compagni di gioco che asini erano e asini volevano restare. Questi avevano solo in testa di passare i pomeriggi a giocare (come abbiamo detto precedentemente), a pescare o fare il bagno d’estate, nel gorgo,  (allora l’acqua non era inquinata), quando non  importunavano le bambine che giocavano con le loro bambole.