Aspettando l’alba – 16

L’Incontro

Quella mattina di marzo, anche se l’aria era ancora fresca, bastava guardarsi attorno e si sarebbe potuto notare che la primavera era vicina. L’azzurro del cielo, rischiarato dai primi raggi del sole ne erano la conferma. Giovanni libero da impegni, volle tornare a visitare quel monumento che tutto il mondo invidia ai padovani, la “Cappella degli Scrovegni” che conserva al suo interno affreschi di Giotto. Volle farlo proprio di mattino perché aveva letto su una rivista che la luce del mattino era l’ideale per gustare in tutta la loro bellezza gli affreschi. Aveva visitato questo luogo altre volte ma sempre di pomeriggio.

Come succede spesso a tutti noi, non siano capaci di apprezzare le cose belle che abbiamo a portata di mano. Chi ha modo di visitare questi affreschi potrà vedere che Giotto ha rappresentato “La storia di Maria e di Gesù” in 38 scene affrescandole su tre fasce. Per seguire l’opera con profitto è indispensabile munirsi di un libretto guida ed è altresì opportuno partire dall’affresco che raffigura il Padre Eterno, che si trova sopra l’arco del presbiterio e seguire il racconto in senso orario per tre giri attorno alla Cappella.

Mentre Giovanni con grande interesse, spostava lo sguardo da un quadro all’altro, si accorse che fra i tanti visitatori vi era un gruppo di tre ragazze e gli parve di riconoscerne una. Era la ragazza che aveva notato alla festa di l’aurea del suo amico Ercole quando Pietro l’aveva sbrigativamente classificata “Lasciala perdere. E’ una della Guizza”. Invece in questi due anni, gli tornava sempre in mente quella gentile figurina di ragazza.

Di colpo calò l’interesse per Giotto e i suoi affreschi e avendo notato che seguivano la visita in senso sbagliato, cercando di apparire gentile si avvicinò alle ragazze sussurrando: “Non voglio per fare quello che sa tutto, ma vi suggerirei di visitare gli affreschi facendo il percorso nell’altro senso”.

“Vedete, ve l’avevo detto che sbagliavamo”. Disse una di loro.

Rinfrancato, Bruno rivolgendosi a quella delle tre che gli interessava, riprese la conversazione:

 “Se ricordo bene lei signorina l’ho vista ad una festa di l’aurea del mio amico Ercole Ferracin qualche anno fa”.

“Si (rispose arrossendo un poco) è un mio amico, abitava poco lontano da casa mia, anch’io mi ricordo di lei, faceva parte a quel gruppo rumoroso e invadente, a dire il vero lei era il meno gassato”.

 “Allora visto che non abbiamo fatto la conoscenza in quella occasione, le dispiacerebbe se la facciamo ora, io sono Giovanni, Giovanni Sarti”,

“Piacere Giusi Zanca, e queste sono le mie cugine, di Trecenta in provincia di Rovigo, sono gemelle, e sono venute a trovare me e i loro zii, lo fanno spesso e quindi oltre ad essere parenti siamo anche molto amiche, ma il vero motivo è che sono venute ad informarsi, di quali documenti occorrono e come fare per iscriversi all’Università”.

 “Piacere, Anita, io sono Giulia”.

Scelsero Padova perché oltre ad avere un’università di primordine lo fecero anche per accontentare i loro genitori preoccupati per i pericolo che due ragazze giovani avrebbero incontrato in una grande città. Qui non sarebbe mancata la sorveglianza e i consigli degli zii.

 “L’avrei detto, si nota subito, siete come due gocce d’acqua, allora io e vostra cugina, sempre che tu Giusi, lo permetta, vi faremo da guida, o scusa se ti do del tu avendoci appena conosciuti, ma converrai è il minimo, se dovremmo diventare buoni amici sei d’accordo”.

 “D’accordo”.

 Come è solito i queste circostanze, si scambiarono il numero del cellulare. Il tempo passa in fretta, troppo in fretta, rimandarono la visita per quel giorno, chiedendo scusa a Giotto, guadarono l’orologio, era già mezzo giorno, malvolentieri dovettero separarsi, si salutarono e usciti ognuno prese la propria strada. Giovanni fatti alcuni passi girò la testa indietro e mentre le due sorelle conversavano tra di loro, Giusi girò anche lei la testa e i due sguardi felicemente se incontrarono.

 Per tutto quel pomeriggio Giovanni si interrogò:

 “Telefono si, telefono no, e se ricevo una risposta negativa”.

 Alla fine si decise, fece il numero e dopo un paio di squilli senti la voce che ormai le era diventata simpatica.

 “Pronto, pronto, sono Giusi con chi parlo”?

 “Sono Giovanni, scusami se ti disturbo, spero che mi perdonerai se questa mattina mi sono comportato non proprio da gentiluomo”.

 “Perdonato, perdonato anzi se ce chi deve scusarsi sono io per il modo goffo con cui ho affrontato la conversazione, ma ero emozionata, e pensare che mi succede rare volte di esserlo”.

 Questa risposta a incoraggiato Giovanni a proseguire il discorso:

 “Ora viene la domanda più difficile, sentimentalmente sei libera e se si, posso farci un pensierino”?

 “Ma, dipende dai sogni che farò questa notte”.

  Qui termino la conversazione, vedremo, se sono rose fioriranno. E’ vero la notte porta consiglio, ma per i nostri due giovani quella notte il sonno tardò ad arrivare.

 Che ci crediamo o no l’amore istintivamente segue vie e tempi suoi, chi ne viene colto ne viene anche guidato.

 Qualche giorno dopo, Giusi si recò a fare una passeggiata al Prato della Valle, avvenimento inconsueto, la cosa strana è cha la fatto da sola, lei che era abituata ad uscire sempre con le sue amiche. Anche se non siamo indovini, non ci vuole molto a immaginare quali erano i pensieri che gli frullavano per la testa, specialmente vedendo certe coppiette in atteggiamenti affettuosi.

 Il cuore le sobbalzo in petto quando vide venirli incontro Giovanni, riavutasi pensò:

 “Sogno o sono sveglia”?

 A farla tornare in se ci pensò lecco delle parole di chi era la causa dei suoi pensieri. 

 “Quale buon vento ti ha condotto qui, in questo giardino delle meraviglie, gentile signorina?

 Non sarà forse stata anche per te, la forza misteriosa che ha guidato qui i miei passi oggi”?

 Arrossendo leggermente Giusi rispose:

 “Non so cosa dirti, ma so che mi fa tanto piacere incontrarti”.

 Istintivamente allungò la mano per ricambiare il saluto e questo gesto, fece scaturire in tutti e due, una sensazione meravigliosa. Cercarono la panchina più appartata e seduti vicini, vicini, mano nella mano, mosse da una forza misteriosa le labbra di lei si congiunsero a quelle di lui nel bacio più dolce che due persone innamorate possono scambiarsi, quanto durò questo momento non è dato sapere.

 Riavutasi la prima a parlare è stata Giusi:

 “Tengo a farti sapere che non è mia abitudine farmi baciare dal primo che incontro”.

 “Ho capito tutto da come il tuo volto è incominciato ad arrossire e da come le tue mani tremavano”.

 Tutti e due compresero che quello era l’inizio di un bel rapporto e che quel bacio suggellava il loro amore e si augurarono che ciò durasse per tutta la loro vita.

 Quando li vedi passeggere, tenendosi per mano l’impressione che danno è che siano una coppia molto affiatata, fatta uno per l’altra. Delle effusioni amorose, d’ora in poi, non ne facciamo cenno, le possiamo solo immaginare, sono azioni che fanno parte alla loro sfera privata.

 Non essendo più giovincelli, di comune accordo hanno deciso di tenere segreto il loro rapporto, ma le loro mamme, con antenne particolari, qualcosa intuivano.

 Qualche notizia giunse anche a papà Andrea e su sollecitazione dalla moglie approfittando della sua assenza, con molto tatto chiese al figlio:

 “Per chi hai preso questa forte cotta”? 

 “Ma va, perché si vede?

 È una ragazza che ho conosciuto qualche anno fa ad una festa di l’aurea, quella del mio amico Ercole Ferracin, la sua figura mi ha colpito subito, ma per due anni ci siamo perso di vista, solo un paio di mesi fa lo reincontrata, e come per magia è nato tra di noi un bel amore”.

 “Parola grossa figlio mio, ma io e tua mamma la conosciamo”?

 “No, ma è di Padova, anche se suo padre e originario di un paese in Provincia di Rovigo, precisamente di Trecenta”.

 “Ho capito bene, Trecenta, questo è il paese dove e nata tua mamma, e vi ha vissuto da bambina”.

 “Che distratto che sono, …mi sembrava di avere letto il nome di questo paese quando ho avuto in mano i suoi documenti, ma perché non me ne ha mai palato”?

 “Lei dice che solo nominare il nome di questo paese, le procura malessere, per il brutto passato che gli ricorda di quando era giovane e che per questo quel nome la voluto cancellare dalla sua mente”. Terminato il colloquio a Giovanni venne in mente il patto che aveva stipulato con Giusi, di non fare menzione del loro rapporto fino a quando non erano sicuri di essere fatti uno per l’altra, si tranquillizzo pensando che era stato costretto a rispondere ad una precisa domanda di suo padre e poi lui era sicuro che il loro era un rapporto più che serio.