Aspettando l’alba – 15

Il tempo è galantuomo

Anche per Giovanni i giorni spensierati finirono e giunse l’ora di scegliere quale indirizzo dare alla propria carriera scolastica.

Anche se di buon carattere, il nostro giovincello aveva combinato le sue brave marachelle. I primi anni li aveva passati prevalentemente in periferia, a Ponte di Brenta, dove i suoi genitori avevano pensato di vivere tranquilli nella loro abitazione. Una casa composta di sei stanze disposte con criteri moderni, servizi all’avanguardia per quei tempi, attorniata da un bel giardino. Il giardino era un luogo adatto per rifugiarsi dopo le fatiche della giornata: già in quegli anni le scolaresche sempre più turbolente, impegnavano non poco gli insegnanti.

In questo luogo tranquillo non si avvertiva il problema dell’inquinamento o del traffico cittadino, anche se c’erano i primi segnali.

L’asilo era a pochi passi da casa, come le scuole elementari e medie, la Chiesa e l’oratorio. Fino a dodici anni non ebbe bisogno di allargare il suo spazio d’azione. I suoi genitori lo portavano in villeggiatura, solitamente in montagna.

Con papà e mamma si recava spesso al “Santo”, la Cattedrale di Sant’Antonio, ad assistere alle varie funzioni specialmente nel mese di giugno. Giovanni era un ragazzo normale, ma di carattere deciso, i progetti che si prefiggeva li portava a termine in modo sicuro.

Gli amici di Giovanni erano tutti bravi ragazzi, un po’ per scelta un po’ su suggerimento dei genitori, specialmente della mamma. 

Non era un “secchione” ma i risultati che otteneva negli studi erano più che buoni. Superato i cinque anni di Liceo Scientifico con discreti voti si iscrisse all’Università, facoltà di fisica.

Essendo un ragazzo con la testa sulle spalle che voleva arrivare alla meta che si era prefissata ha capito subito che gli studi universitari erano molto più impegnativi. Stimolato dalla materia che gli piaceva e dalla necessità di contraccambiare i sacrifici che papà Andrea e mamma Elena facevano per lui, trovava lo stimolo per superare gli ostacoli che gli si paravano innanzi. Superava gli esami puntualmente, alternando quelli facili a quelli difficili con buonissimi risultati, almeno per i primi. Pur dedicandosi agli studi assiduamente, non trascurava gli svaghi, già sappiamo che prediligeva la montagna, passione ereditata dai genitori,con passeggiate d’estate e sciate d’inverno potenziava il suo fisico che la natura le aveva dato, dobbiamo dirlo era un bel ragazzo, somigliava al padre, occhi e capelli neri, della mamma aveva invece il carattere, gentile ma non melenso.Altra decisione azzeccata è stata quella di non sospendere gli studi per soddisfare l’obbligo di leva, rimandò questo evento a studi terminati, questo per evitare che l’anno che sarebbe occorso per la ferma militare non pregiudicasse l’esito finale dei suoi studi. A luglio di quell’anno Giovanni si recò ad una delle tante feste di laurea, di un compagno di facoltà Ercole. Manco a dirlo vi partecipò con i suoi amici per la pelle, Pietro, Giovanni e Licia, la ragazza di quest’ultimo, erano inseparabili li chiamavano i tre moschettieri. La festa prese una svolta allegra e scanzonata, dai vari punti della sala di quando in quando si levava il solito coro:

 “ Dottore, Dottore dal…………………….”.

Ad un certo punto Giovanni notò in fondo la sala una ragazza bruna molto carina, che lo guardava; (almeno questo gli è parso) e mosso dalla curiosità, chiese: “ Tu Pietro che conosci tutti, chi è quella morettina là infondo con quella maglietta azzurra”. “ Per carità”, si senti rispondere: “ E’ una “della Guizza” lasciala andare”.

E’ giusto sapere che tra gli abitanti del quartiere della Guizza e quelli di Ponte di Brenta, non correva  buon sangue, li legava una così detta: “ Cordiale antipatia”.

Giovanni per il momento non ci pensò più.

Anche il nostro eroe si laurea con il massimo dei voti: centodieci e lode, la festa che fu organizzata da mamma e papà con l’aiuto degli amici più intimi, fu un grande successo, solo che a Giovanni tornò in mente la morettina dalla maglietta azzurra vista alla festa dell’amico.

Papà Andrea e mamma Elena non stavano più nella pelle dalla contentezza. Terminati i festeggiamenti Giovanni dovette tornare con i piedi per terra, cera l’ostacolo della ferma militare. Sollecitamente si recò al distretto militare a qualche chilometro da casa sua. Il funzionario gli fece presente che stava ultimando l’elenco di chi volesse iscriversi ad un corso presso la Scuola Militare alla Cecchignola di Roma. Dopo essersi consigliato con i genitori e valutato che non doveva aspettare tanto, avendo già ventiquattro anni, ma soprattutto una volta uscito dalla scuola gli sarebbe stato corrisposto un discreto stipendio, motivo valido per ricambiare i sacrifici finanziari sostenuti gai genitori, per farlo studiare, si iscrisse con sollecitudine. Nel giro di dieci giorni venne chiamato, la destinazione Roma come sappiamo, la frequento un corso di addestramento nell’arma Genio Pontieri. Terminato il corso fu destinato a Legnago, paese del Veronese a pochi chilometri da Padova. Dopo un primo periodo relativamente tranquillo, la vita militare è sempre ostica, la situazione si aggravò, atti terroristici messi in atto dia soliti esaltati, crearono problemi ai soldati chiamati a confrontarsi con situazioni pericolose. Solo a pericolo scampato Giovanni confessò alla mamma, naturalmente la più emotiva, che quando usciva doveva indossare il giubbotto antiproiettile. Come la mamma venne a saperlo esclamò: “Maria Vergine che pericoli hai corso bambino mio”. Per le mamme i figli sono sempre bambini.