Aspettando l’alba – 12

La  disastrosa alluvione

Se per Elena è stato un periodo tremendo, per Bruno, è stato, se fosse possibile, peggiore. Non riusciva più a dormire e, quando per qualche momento si appisolava, si svegliava tutto in un sudore, tremante. Non mangiava, era nervoso con tutti.

Interpellato, il suo dottore, diagnosticò, sintomi nervosi, dovuti a un trauma  psicologico subito, le ordinò un sedativo e lo consigliò di stare tranquillo.

Tutto questo allarmava sua mamma, che aveva intuito tutto.

Era di pomeriggio, tutti gli altri componenti la famiglia erano fuori per lavoro.

Mamma Adele, prese l’iniziativa e cominciò a dire: “ Alle mamme non si può mentire, io vedo cosa stai passando, bambino mio, e immagino anche il perché,  soffrirai,  ma non ci potrai fare niente, le cose vanno per loro conto e sarà difficile cambiarle. Dimentica se puoi, e confida nell’aiuto mio e degli  altri familiari”. Bruno rispose: “ Grazie della tua collaborazione, ma come  capirai, sarà molto dura, ma la vita deve continuare”.

La ripresa dell’anno scolastico l’affrontò di buona lena e con maggiore impegno.

L’essere ben voluto dai professori e dai compagni, lo aiutava a distrarsi e alleviare il magone che lo attanagliava, l’umore si alternava in alti e bassi.

Un giorno si diceva voglio dimenticare, l’altro metteva mano agli oggetti che le ricordavano Elena. Oltre i suoi problemi il nostro giovane amico venne coinvolto anche dalla situazione della famiglia e della sua terra natale.

Trecenta era un paese senza risorse, senza industrie atte a trasformare e conservare i prodotti agricoli, alla istallazione di tali industrie si opposero i proprietari terrieri, asserendo che se gli operai avessero trovato un lavoro in fabbrica a loro sarebbe mancata la manodopera, a loro serviva quella a basso prezzo, come abbiamo detto niente di niente, solo agricoltura. Si ha notizia che a Trecenta si doveva costruire un zuccherificio e che una linea ferroviaria doveva collegare Ostilia a Rovigo, passando per Trecenta, ma sono state solo pie intenzioni, come sappiamo qualcuno non ha voluto che questo accadesse, l’isolamento si nota ancora ai nostri giorni.

La popolazione viveva esclusivamente lavorando la terra, con impieghi saltuari e stagionali.  Ben altra cosa era quello che si sentiva dire succedesse in altre parti dell’Italia, Milano, Torino; Genova, il cosiddetto triangolo, zone dove incominciavano a nascere nuove industrie e dove la manodopera era richiesta, tutto questo indusse alcuni pionieri a sofferte partenze.

A peggiorare la situazione, qualche anno prima, il 14, novembre 1951 si verificò la disastrosa alluvione, sperando di non abusare della pazienza, del lettore ci sembra giusto descrivere cosa è successo.  Già da qualche giorno prima del fatidico 14 novembre, tramite i giornali radio, si sentiva parlare che il fiume Po dava segni preoccupanti, a causa della pioggia incessante che flagellava il Piemonte e la Lombardia, il livello de fiume si alzava.

Anche; Bruno si rese conto di questo di persona, il giorno 11 novembre, con alcuni amici si era recato alla fiera di San Martino a Castelmassa, ed essendo il paese vicino alle rive del fiume, si avvertiva che la popolazione era preoccupata.

Gli uomini sono come i polli quando avvertono il pericolo, si riuniscono a gruppi, ci sono quelli che parlano, pochi, e molti quelli che ascoltano.

Bastava prestare un po’ di attenzione per capire che il grande “Eridano” non scherzava. Si poteva sentire: “Già ora il fiume preoccupa, se poi si deve dare retta alle notizie, che, in Piemonte e in Lombardia, continua a piovere, che i laghi straripano e gli affluenti sono in piena”? C’era poco da stare allegri. Bruno e compagni incuriositi salirono sulle rive e rimasero stupiti nel vedere tanta acqua, la quale lambiva la parte superiore degli argini. Resesi conto che c’era poco da scherzare decisero di tornare a casa. Le notizie che portarono a casa, contribuirono a preoccupare ancora di più i parenti e amici. Le ore passavano lentamente, le notizie buone si alternavano a quelle meno buone mercoledì 14 novembre, Bruno si recò a scuola di malavoglia, erano le dieci circa, quando il preside dell’Istituto “ Enzo Bari” ordinò a tutti gli alunni dei paesi vicini al Po, di tornare a casa, preoccupato dalle notizie che diramavano i bollettini radiofonici. Tutte le attività cessarono, c’era chi diceva di tenersi pronti ad evacuare se fosse stato necessario,  altri ribattevano, ma come? Con  che mezzi? Il  caos regnava, fino a quando nel pomeriggio si incominciò a sentire un altoparlante, posto sul tettuccio di un’auto, che  transitava, per le vie del paese. La litania che ripeteva era questa: “ Attenzione, attenzione, la situazione si mantiene grave, si invitano volontari a recarsi ad aiutare le squadre di operai esauste, dalle troppe ore di lavoro”. La cadenza monotona e ripetitiva metteva angoscia. Qui  è obbligo lodare questi operai,che anche se sostituiti non si allontanarono dalla zona di pericolo.

Il compito di questi operai era il riempire sacchetti di sabbia, che poi venivano collocati dove l’acqua tracimava.

Oltre agli operai, un compito delicato era quello delle guardie, attente affinché non si verificassero sabotaggi. Circolava la notizia che in altre situazioni come queste, mercenari pagati da personaggi poco raccomandabili, venivano incaricati di tagliare gli argini della riva opposta, e allontanare l’allagamento delle proprie terre e dei loro paesi.

Bruno, che non più un bambino, capiva che le prospettive erano tristi. Erano passati solo sei anni dalla fine della guerra che aveva lasciato anche in Polesine lutti e distruzioni. Solo da poco e lentamente si vedevano i primi risultati di una faticosa ricostruzione sia morale che materiale.

Per il Polesine povero da sempre, ricco solo di braccia e bocche da sfamare, tanto che qualcuno lo chiamava il: “sud del nord”, un’alluvione sarebbe stata una catastrofe.

Confusamente questi erano i pensieri che le passavano per la testa, le notizie che arrivavano che erano via, via più brutte. In autunno le giornate si accorciano in modo sempre più rapido, quel poco sole cala all’orizzonte, lasciando posto subito alla notte.

Si continuava sentire il lugubre ritornello: “La situazione si mantiene grave, la popolazione si mantenga pronta a sfollare ad un eventuale ordine”.

Quello che Bruno non potrà mai dimenticare era l’atmosfera che si respirava in quelle ore. Gli uomini si agitavano, non concludendo niente, perfino gli animali erano più docili del solito. Il compito delle donne era di pregare ed esortare il buon Dio a limitare i castighi che pur meritavano in quanto poveri peccatori. Non solo le donne e i bambini, ma anche qualche uomo senza farsi vedere si rivolgeva a Dio, sperando nel suo Santo aiuto.

Alle 21 già notte, arriva la notizia: “IL PO HA ROTTO AD OCCHIOBELLO”.

Per il Polesine e per tutti i suoi cittadini, si ripeterono lutti, devastazioni e preoccupazioni a non finire.